Massimo Recalcati "Diego, Orban, la maestra e il moralismo"
Diego, Orban, la maestra e il moralismo
Diversi episodi hanno risollevato il problema del carattere morboso del moralismo. Mi riferisco ai
commenti relativi alla morte di Maradona, alla vicenda della maestra dell’hinterland di Torino
derubata dal suo ex della sua intimità e al festino orgiastico di Bruxelles che ha visto tra i protagonisti
l’eurodeputato ungherese Szajer, braccio destro dell’omofobo illiberale Orban.
Proprio quest’ultimo episodio ci offre la giusta chiave per leggere la morbosità del moralismo. Il
sostenitore militante della famiglia naturale, eterosessuale, cresimata da un Dio severo, viene sorpreso
nel mezzo di una orgia omosessuale con droga e “accessori” annessi.
Colpisce la contraddizione profonda che non attraversa tanto questo personaggio, ma il moralismo di
ogni genere e specie: la severità del giudizio nei confronti dei modi di godimento degli altri si
accompagna spesso a comportamenti personali che realizzano proprio ciò che tale giudizio vorrebbe
invece condannare. In altri termini: il rigore implacabile con il quale il moralista vuole colpire il
godimento illegittimo degli altri (quello omosessuale in questo caso) è proporzionale alla difficoltà
di accettare che quel godimento gli appartiene sebbene non riesca a riconoscerlo pienamente come
proprio. Di conseguenza al posto della contraddizione che anima la vita di ogni essere umano, nel
moralista si produce una scissione: da una parte il bene dall’altra il male, da una parte i puri dall’altra
gli impuri. Per difendersi dal proprio godimento impuro bisogna, infatti, ergersi a puri, a giudici senza
macchia. Per questa ragione l’animo del moralista si infervora nel condannare proprio chi realizza il
suo fantasma inconscio.
Accadeva nel tempo più feroce dell’antisemitismo dove l’ebreo incarnava l’anima maledetta e
inconfessata dei suoi persecutori. Non dovremmo allora stupirci della crociata contro una maestra
colpevole di avere nella sua vita privata rapporti sessuali liberi e disinibiti con il suo compagno.
Invece di esprimere solidarietà femminile per essere stata oggetto di un vero e proprio abuso
maschilista da parte del suo ex che fa circolare tra i suoi amici i video dei loro rapporti, viene presa
dalle sue colleghe, dalle “comari del paesino”, come direbbe il poeta di Bocca di rosa, come un essere
sudicio e immorale. Anche in questo caso non deve sfuggire la stizza che anima ogni giudizio
moralistico: a essere colpito è chi gode legittimamente del proprio corpo e non chi sfrutta
ignobilmente i sentimenti per pavoneggiarsi di fronte ai propri amici.
Non a caso in ogni moralista troviamo la repressione attiva della propria vita sessuale e, di
conseguenza, l’intolleranza verso chi invece sa goderne. Se il dirigente scolastico della maestra fosse
stato l’eurodeputato Szajer avrebbe agito allo stesso modo, salvo poi recarsi di notte al suo atteso
festino… Ma non ogni moralista si comporta così, sdoppiando la propria vita. I più inguaribili si
pongono come un blocco granitico, inflessibile, non conoscono scissione, non vacillano.
L’intransigenza del loro giudizio è pari solo alla rimozione delle loro pulsioni, le quali trovano
soddisfazione solo nel giudizio di condanna degli immorali. É il carattere rancoroso che accompagna
come un ombra ogni moralista. La rigidità delle sue sentenze è suscitata dal risentimento verso coloro
che sanno vivere con più gioia la loro esistenza.
Per questo ogni buon moralista non può evitare, commentando la morte del grande Maradona, di
ricordare immancabilmente, di fianco al suo estro calcistico, la sua vita marcia. Anche in questo caso
il moralista si affretta nel formulare il suo giudizio inappellabile senza considerare né la storia
singolare di chi giudica, né, soprattutto, la distinzione tra lo straordinario e sublime genio calcistico
di Maradona e la sua vita privata. Come se la poesia di Rimbaud o l’arte di Caravaggio fosse riducibile
al loro tormento personale. Ma ogni moralista deve sempre esprimersi caricaturalmente, dunque in
modo violento. La violenza della caricatura consiste, infatti, nel sopprimere giocoforza la sfumatura,
la contraddizione, la complessità. Un vizio, un difetto, una imperfezione viene esaltata e assunta come
se fosse l’indice della verità ultima del caricaturato. Il giudizio moralista deve separare rigidamente
il bene dal male. Non può esistere infatti, nel manicheismo di fondo che lo ispira, alcun contatto tra
il bene e il male, tra il puro e l’impuro, ma solo la loro opposizione irriducibile.