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Enzo Bianchi "Tutte le facce dell’amore"

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La Repubblica - 8 giugno 2020
dal sito del Monastero di Bose

La parola “amore” è forse abusata, e tuttavia necessaria per dire ciò che può salvare la nostra vita oppure, se l’amore è negato, portarla alla morte. Amare ed essere amati resta ciò che dà senso a una vita o le toglie significato, orientamento. Come conosciamo l’amore? Lo conosciamo addirittura prima ancora di venire al mondo.
Ognuno di noi infatti è portato per nove mesi nel grembo di una donna, e in quella vita intrauterina — ci dicono le scienze umane — a poco a poco inizia a sentire, non sul piano razionale ma con il suo essere, se è accolto o rifiutato. Per questo è decisivo per ogni umano l’essere desiderato e amato “in anticipo”… Una volta usciti dal grembo materno, riusciamo a vivere se possiamo avere fiducia in qualcuno che ci ama e si prende cura di noi, normalmente la madre, il padre, i famigliari. Da questo vissuto dipenderà la nostra capacità di amare, perché è attraverso l’amore di cui siamo oggetto, l’amore “passivo”, che impariamo ad amare. Non è un cammino facile, perché accidentato e a volte contraddetto nelle vicende della vita, a partire proprio da quelle famigliari.
Eppure è fondamentale per un cammino di vera umanizzazione.
Giunge poi l’ora in cui sentiamo il bisogno di amare al di là del cerchio della famiglia. Scoperta meravigliosa dell’altro, in tante forme: relazione che ci attira e ci chiede di iniziare l’avventura dell’amore. Impariamo che per amare occorre conoscere l’altro e intraprendere una relazione in cui si cammina insieme. Allora l’amore diventa storia, conduce al miracolo di due persone che mettono fiducia l’una nell’altra fino a condividere la vita, a stringere un’alleanza. C’è grandezza nella relazione d’amore che brucia come fuoco, ma ci può essere anche miseria: non sono facili le storie d’amore e richiedono non solo impegno e rinnovamento dei sentimenti, ma anche pazienza, perseveranza, fedeltà al patto che sostiene l’amore.
L’amore può inoltre manifestarsi come “amore per il prossimo”.
Insisto su questa espressione, di ascendenza biblica, perché nell’amore concreto è decisiva la prossimità, cioè una vicinanza che ciascuno decide: il prossimo è colui che io scelgo di rendere vicino, di incontrare. Ebbene, in un tempo in cui dominano i rapporti mediati e mediatici, la grande arte in controtendenza è quella di rendere vicino l’altro, di dargli la nostra presenza, di guardarlo in volto e poi di discernere il suo bisogno, prendendoci cura di lui, di lei.
E così l’amore si manifesta come com-passione, come soffrire insieme.
Esemplare al riguardo un racconto della tradizione ebraica chassidica.
Una sera in cui due amici erano insieme in una taverna, quando il vino rese allegri e veritieri i loro cuori, l’uno chiese all’altro: «Tu mi ami?». Così per tre volte, ricevendo sempre risposta affermativa. Alla fine gli chiese: «Tu sai ciò che mi fa soffrire?». «No», rispose l’amico. E il primo concluse: «Se non sai ciò che mi fa soffrire, come puoi dire di amarmi?».
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