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Rossella De Leonibus "Attenti al virus"

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Rossella De Leonibus
"Attenti al virus"

La luce in fondo al tunnel esiste ed è nella parola NOI
Zygmunt Bauman

La vita a cui eravamo abituati e che davamo per scontata, non è più la stessa, e potrebbe restare appesa alla paura anche dopo la fase acuta dell’emergenza.
È una paura che attanaglia tutta la comunità sociale, la sensazione di angoscia che ne emerge non riguarda solo la possibilità concreta di ammalarsi, di morire intubati e soli, ha come immagine mentale anche la fine della modalità di vita finora sperimentata. Questa paura ci mette in contatto con la nostra vulnerabilità individuale, insieme alla fragilità collettiva, e ci lascia addosso una malinconia profonda, un senso della perdita e lutto. Che effetto vi fanno i tanti spot pubblicitari girati prima del virus, dove le persone si abbracciano, stanno vicine, viaggiano, fanno tavolate, feste e corteggiamenti al mare, al chiaro di luna...?
Cos’è un trauma? È la conseguenza di un evento (o di una sequenza di eventi) con caratteristiche tali da interrompere la continuità normalmente avvertita da un soggetto tra esperienza passata e momento
presente. Per essere chiamato «traumatico» l’evento deve produrre nell’individuo un’esperienza vissuta come «critica», imprevedibile e di complessa gestione. Il trauma, compreso quello psicologico (dal greco trauma, – atoj ossia «rottura-ferita») è quindi un fenomeno stressante, di gravità estrema, che, per la sua veemenza, sopraffà l’integrità del soggetto e la sua capacità di fronteggiamento. È una «frattura» che interrompe il corso naturale della nostra esistenza, sovvertendo la quotidianità e le ipotesi sul futuro. L’irrompere della pandemia da coronavirus nelle nostre vite, attraverso le notizie dei Tg, la paura del contagio e l’angoscia di morte che lo accompagna, ha rappresentato e continua a rappresentare un’esperienza traumatica collettiva. Il fatto che riguardi tutto il pianeta è rilevante: non ci sono vie di fuga, non c’è possibilità di stabilire un altrove, né fisico né psichico, per sua natura un’infezione di questa portata è pervasiva, e per di più la minaccia è invisibile e impersonale, microscopica, elusiva, subdola, collegata all’atto vitale per eccellenza che è il respiro, e, per soprammercato, colpisce indiscriminatamente anche coloro i quali, personale medico e sanitario, sono deputati a proteggerci e curarci.
Le pandemie sono eventi che segnano tracce indelebili nella storia. Il trauma collettivo, planetario, la pandemia, rappresentano un passaggio critico per tutti, sia per gli adulti sia per i bambini, perché incidono sul senso di prevedibilità e sicurezza.

bambini, i più vulnerabili,
ma anche i più resilienti

Cominciamo dai bambini. Possiamo osservare una serie, più o meno grave, di reazioni emotive. I bambini possono faticare parecchio ad adeguarsi a cambiamenti gravi della loro vita, che stravolgono le loro routine: chiusura delle scuole, allontanamento sociale, isolamento in casa. I bambini ci osservano sempre, e alle loro antenne sensibili non sfugge il nostro stress.
«Mamma, mamma, mi porti a vedere la mia scuola? Forse è stata distrutta, sennò perché non possiamo andarci?». «Papà, sono stata in terrazza e non ce l’ho fatta a non respirare, adesso che mi succede? Mi sarà entrato il virus nel naso?». Paura, preoccupazione, tristezza, rabbia, i bambini possono essere anche preoccupati della sicurezza propria e dei propri cari, del cibo, dell’alloggio, dei vestiti, del futuro.
Un adulto capace di dar loro supporto è fondamentale, un adulto che sia capace di prendersi cura non solo del corpo, ma anche delle emozioni che arrivano. Se i più piccoli hanno già subito traumi e di violenze, se hanno una disabilità, se non possono contare su genitori adeguati, sono particolarmente esposti alle conseguenze traumatiche della pandemia.
Non solo i bambini più vulnerabili ma tutti quanti, hanno bisogno di routine regolari e di rassicurazione emozionale, a partire dalla convalida empatica dei loro vissuti di angoscia, per arrivare alla possibilità che queste emozioni disturbanti vengano espresse ed elaborate attraverso il gioco. Come adulti dobbiamo attrezzarci per costruire per i bambini una narrazione sostenente, non solo sul virus, ma anche per tollerare e sostenere l’interruzione della socialità e delle esperienze esplorative connesse alla quarantena.

il tempo sospeso degli adolescenti

Invece che #iorestoacasa, per le ragazze e i ragazzi faremmo meglio a dire #iorestoincamera.
Se si hanno più di 13-14 anni, è probabile che il rifugio antivirus dove si trascorre la maggior parte del tempo sia proprio la camera... Là è possibile ricreare un piccolo mondo protetto, dal quale affacciarsi all’esterno attraverso le finestre virtuali.
Ragazze, ragazzi, per non farvi diventare l’autostrada del virus, vi abbiamo imposto un letargo a primavera. È inutile negarlo, questa è la verità, a voi la regola necessaria del #iorestoacasa pesa in modo particolare. Avete l’età in cui il mondo si allarga, l’età in cui «la casa è un albergo», e adesso invece eccovi qui, come tutti, a sostenere queste limitazioni. Queste regole necessarie vi hanno tolto tutto: gli amici, le uscite, il motorino, le prime guide in macchina, il gruppo, l’amore appena iniziato, lo sport, la musica, il sabato sera, la gita scolastica, la libertà... Vi abbiamo potuto restituire solo la scuola, ma senza il calore dei vostri compagni e compagne, senza le confidenze e le chiacchiere, senza i capannelli all’intervallo, senza il ritrovarsi all’entrata, senza lo sciamare all’uscita. In cambio di una vita vera, vi abbiamo restituito i social e le lezioni on line, e tutti i possibili usi di internet. Quelli che fino a pochi giorni fa noi spesso criticavamo. È necessario, questo limite, ma non abbiamo il diritto di minimizzare lo sforzo che fate per adattarvi.
Ogni giorno in più che passa, diventa più grande.
Allora meritate i nostri complimenti! Siete dei piccoli grandi eroi, siete forti, e se resisterete lo sarete ancora di più. Ben prima del tempo giusto, vi abbiamo chiesto uno sforzo tremendo di autocontrollo e responsabilità. E allora vi onoriamo, vi diamo «il cinque» per ogni giorno in cui vi mettete a studiare davanti a uno schermo soli nella vostra stanza. Per ogni sospiro che vi esce dal cuore quando vi mancano gli amici, l’amore, gli abbracci, lo stare insieme vicini e stretti in tantissimi. Vi diamo «il cinque» per ogni volta che sopportate con pazienza le nostre tensioni di adulti, le nostre incomprensioni. A voi è stato chiesto di accettare la limitazione più grande, e dobbiamo aver cura come adulti di sostenere la vostra speciale capacità di adattamento, la vostra competenza ad attivare resilienza.
Abbiamo la responsabilità, come adulti, di sostenere il sentimento di autoefficacia di ciascuno di voi, perché anche voi possiate essere protagonisti della fase che stiamo attraversando, con tutte le sue faticose e frustranti necessità, e non solo vittime. Davanti ai vostri occhi implacabili sapremo essere esempi positivi, testimoni di resilienza attiva e di buone strategie di fronteggiamento? Vedrete tutte le nostre fragilità di adulti, saremo scoperti e vulnerabili, ma vi saremo affianco.

i cigni neri di noi adulti

Cosa sono i «cigni neri»? Sono quegli eventi imprevedibili e rari che non solo ci cambiano la vita, ma anche ci rivelano a noi stessi, mostrandoci, come in uno specchio magico, le nostre realtà più autentiche e profonde. Inevitabilmente si parla anche del virus durante i colloqui di psicoterapia.
Ci sono delle domande che pongo alle persone che si rivolgono a me in questi tempi complicati, sono domande che sembra siano state vissute come utili e significative.
Le ripropongo in sintesi, per sostenere la nostra competenza adulta ad assumere la responsabilità di noi stessi e a costruire, intorno agli eventi che affrontiamo, significati che possano sostenerci.
• In che modo hai impattato queste notizie?
• Come stai vivendo i cambiamenti di abitudini di vita che la prevenzione ci richiede?
• Quali cose, persone, azioni, ti mancano di più?
• Come vivevi queste stesse cose, persone, azioni, prima di questa emergenza?
• Di che cosa stai diventando più profondamente consapevole in questa vicenda?
• Quali competenze hai messo in atto durante questo periodo?
• Cosa hai scoperto di nuovo o cosa hai riconfermato su te stessa/o nell’attraversare questa situazione?
• Se potessi descrivere con una immagine metaforica il tuo modo di rispondere oggi a questa situazione, quale sarebbe l’immagine?
• Se la parte più vitale di te stessa/o volesse darti un suggerimento, un aiuto, per affrontare al meglio questa situazione, cosa ti direbbe? e nella comunicazione pubblica?
Se il linguaggio della comunicazione pubblica, per le sue logiche di mercato, stressa troppo la metafora della guerra, facciamo attenzione a uscirne presto, per entrare invece nel linguaggio del prendersi cura. Ricordiamolo sempre. Il linguaggio guida il pensiero, che guida l’immaginario, che guida la emozioni, che guidano le azioni e i comportamenti.
È una pandemia, non una guerra... Non si vince, si supera. Non si combatte, si cura e si previene. Non ci sono colpevoli e innocenti, traditori e fedelissimi. Ci sono persone che soffrono e persone che sono state risparmiate, persone che hanno interiorizzato la necessità di cambiare abitudini e persone che fanno fatica a farlo. Non sono le persone che fanno del male, è il virus. E soprattutto non ci sarà nessuna soluzione a questo dramma se non la pratichiamo insieme a livello planetario.
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