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Come sopravvivere a lockdown e pandemia. I consigli dei monaci della comunità di Bose

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Da millenni, i monaci curano e custodiscono la vita spirituale e solo superficiali luoghi comuni li disegnano come eremiti completamente distaccati dal mondo. In realtà il loro punto di vista sulle cose mondane è spesso profondo e originale, mai come ora necessario per ripensare il nostro posto su questa Terra.

Ai lettori della Stampa, Luciano Manicardi ed Enzo Bianchi, rispettivamente priore e fondatore della comunità monastica di Bose, regalano preziose lezioni, nate al tempo della pandemia, da metabolizzare per il tempo che verrà. Sono le parole di chi guida un’ottantina di monaci e monache che vivono e lavorano in un ambiente unico, un antico borgo ristrutturato sulla Serra di Ivrea, rilievo morenico di origine glaciale, la più grande formazione del genere in Europa, ricca di laghi, boschi di acero, frassino, quercia, castagno, e poi prati e campi e frutteti, fauna selvatica. Un piccolo paradiso collinare tra le Alpi valdostane e la pianura piemontese.

“Non so come sarà il post Covid-19”, esordisce Luciano Manicardi. “Anche ora regna l'incertezza sulla sua origine e non sappiamo se e come potrà evolvere e mutare”. Non sappiamo cosa accadrà in futuro: “il virus diventerà endemico? l'epidemia si spegnerà? regredirà? In che misura? Come e dove? Quali restrizioni ci saranno e per quanto tempo? Quali saranno le conseguenze sociali ed economiche che l'epidemia provocherà?”.

Il priore si schernisce: “vorrei dire qualcosa solo se ho qualcosa di significativo da dire”. In realtà, in poche parole ci offre interrogativi e spunti, mai banali, che aprono alla riflessione: “mi pare che, se c'è una lezione da apprendere, per il momento è la lezione dell'incertezza: viviamo in un mondo di cui conosciamo poco e che spesso conosciamo male. Il che dovrebbe indurre a una certa umiltà del conoscere. A ritrovare rapporti ispirati a mitezza, a capacità di mettersi dei limiti per lasciar spazio alla vita altrui e anzitutto delle altre specie animali e vegetali, alla casa comune del creato”.

E qui affiora l’anima ambientale dei monaci di Bose: “nel giro di poco tempo abbiamo visto cieli sgombri da smog in diverse città, mari puliti dove prima erano inquinati, tanti animali prima timorosi dalla presenza umana invadente hanno ritrovato la loro libertà di movimento”.

La seconda lezione di Manicardi è quella dei limiti: “il confinamento restringe in maniera imperiosa il raggio dei nostri spostamenti, di noi ormai abituati a fare migliaia di chilometri in poche ore”. Questo fatto ci pone a contatto con il limite dello spazio: “le mura domestiche e poco più. Gli stipiti della porta di casa come novelle colonne d'Ercole”. Ma anche col limite del tempo: “un tempo e un ritmo che per molti è stravolto, sia che debba triplicare gli sforzi e lo stress lavorativi (medici e infermieri), sia che porti molti a trovarsi senza lavoro, ad essere immersi in un tempo che non passa mai, che sembra non avere fine”. Domina l’incertezza, la coscienza che l'imprevedibile “è parte costitutiva della storia e della vita, e limite”.

Le due lezioni che si possono apprendere, per Manicardi, non sono connesse alla vita monastica “ma sono lezioni elementari, che chiunque può cogliere facilmente da sé”. Almeno teoricamente: “chi lo dice che si impari dalle disgrazie o dalle calamità? Forse c’è chi le subisce e ne scampa. Ma le generazioni che verranno dopo? Quante volte si è ripetuto il mai più, dopo gli orrori della seconda guerra mondiale e della Shoah. Eppure...”.

In attesa che questa pandemia passi alla storia, brucia la febbre della ripresa, non vediamo l’ora di ritornare ai ritmi di prima, nonostante la quarantena abbia masso in discussione tutti i nostri precedenti stili di vita. Enzo Bianchi apre la bisaccia che ci porteremo addosso e che abbiamo riempito negli ultimi due mesi: “Quando c’è un’emergenza si sviluppano nell’uomo forze positive: miglioramento etico, speranza per il futuro, solidarietà, cura dell’altro. Ma c’è un’altra faccia della medaglia, che a volte mi fa sorgere dei dubbi sulla bontà del genere umano: gli stupidi diventano sempre più stupidi, i cattivi più cattivi”. Di buono dovremmo capire come questo tempo abbia esaltato alcuni valori: “il valore del silenzio, la possibilità di osservare da vicino la natura, non solo come sceneggiatura della vita umana, ma come elemento indispensabile che ci arricchisce”.

Bianchi condivide un frammento della sua esperienza, ammettendo di essere un privilegiato: “a marzo e aprile ho vissuto in maniera intensa i boschi, la campagna, i giardini che abbracciano il nostro monastero, le mie passeggiate sono state più lunghe del solito, la meravigliosa fioritura di quest’anno mi lascerà un segno profondo”. Un segno che ha il sapore della poesia, in verità, il fondatore di Bose l’ha già lasciato con un tweet: “Cari amici e amiche, dal mio eremo vi mando una immagine di bellezza e di speranza: il mio glicine ha incontrato la rosa gialla, si sono abbracciati e intrecciati e danzano insieme nel vento primaverile! Presto torneremo anche noi ad incontrarci e ad abbracciarci con gioia”.

La lezione della natura, come parte integrante della nostra esistenza, è tra le più importanti: “l’abbiamo fatta ammalare, ora dobbiamo proprio smetterla di sentirci i dominatori del creato, abbiamo delle forti responsabilità nei confronti degli animali, delle piante, degli ecosistemi”. A proposito del rapporto tra uomini e animali, Enzo Bianchi, in uno dei volumi Quiqajon, la casa editrice della Comunità di Bose, scriveva: “gli animali vanno contemplati, interrogati, ascoltati, e allora parleranno di fedeltà (la cicogna e la rondine), di sete, di desiderio (il cervo), di previdenza (la formica), di laboriosità (l’ape), di mitezza (l’agnello), così come di violenza e di aggressività (le bestie selvagge)”.

Oltre al silenzio e alla natura, Bianchi parla dell’ozio, che ci regala “il tempo per pensare, gustare la vita, godere della bellezza delle cose”. Un tempo per umanizzare le relazioni con gli altri e per porci domande essenziali: “chi è la persona che vive accanto a me? Che responsabilità ho nei suoi confronti?”.

Per evitare di ricadere nella frenesia di sempre, forse vale la pena ascoltare le voci intonate dei due monaci nostri contemporanei: se dopo qualche era geologica una morena glaciale si è trasformata in ambienti naturali di rara bellezza, secoli di storia spirituale e culturale possono generare acqua fresca cui attingere a piene mani in un’epoca, quella odierna, di stravolgimenti e grandi incertezze.

MARCO ANGELILLO
09 Maggio 2020
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