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Enzo Bianchi Commento Vangelo 3 maggio 2020

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Commento al Vangelo della domenica e delle feste 
di Enzo Bianchi fondatore di Bose

Chi non dona la vita uccide 
3 maggio 2020
IV domenica di Pasqua (anno A)

Gv 10,1-10

In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un bandito. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori.
E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e banditi; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».
(testo dell'evangeliario di Bose)

Dopo averci presentato per tre domeniche la resurrezione del Signore Gesù Cristo attraverso i racconti delle sue manifestazioni ai discepoli, oggi la liturgia ci invita a contemplarlo vivente quale Pastore della sua chiesa, «Pastore dei pastori delle pecore» (cf. Eb 13,20), che indica al gregge e ai pastori la via da percorrere.

Siamo a Gerusalemme, e Gesù ha appena guarito in giorno di sabato un uomo cieco dalla nascita, suscitando la reazione sdegnata dei farisei (cf. Gv 9). Per rivelare a chi lo contesta quale sia l’autorevolezza che lo abilita ad agire in questo modo, Gesù pronuncia il suo discorso sul «buon pastore» (cf. Gv 10,1-21). Il popolo di Israele conosceva per esperienza diretta la vita dei pastori e il loro legame con le pecore: per questo era giunto a rivolgersi a Dio quale «pastore di Israele» (Sal 80,1), invocandolo quale pastore capace di condurre chi confida in lui «sul giusto sentiero, in pascoli di erbe verdeggianti e ad acque quiete» (cf. Sal 23,1-3). Per svolgere questa sua opera Dio si serve anche di pastori umani, che dovrebbero essere nient’altro che mediatori del suo amore, ma che a volte finiscono per «far perire e disperdere il gregge del suo pascolo» (cf. Ger 23,1)…

«In verità, in verità vi dico»: questa formula particolarmente solenne con cui Gesù apre la sua rivelazione è un monito alle nostri menti e ai nostri cuori, affinché si dispongano a un ascolto attento delle sue parole. La prima parte del suo discorso è tutta incentrata su una netta contrapposizione tra il vero pastore e chi, pur dicendosi pastore, si comporta come un ladro e un brigante. Il pastore entra nel recinto delle pecore attraverso la sola entrata legittima, la porta, mentre il ladro vi penetra furtivamente, per un’altra via. Tutto ciò che segue è una conseguenza di tale diversa via d’accesso: il guardiano – cioè il Padre – apre l’ovile al pastore, il quale chiama una per una le pecore, le conduce fuori e cammina davanti a loro: esse, in risposta, lo seguono perché ascoltano e conoscono la sua voce. Ecco descritta la nostra relazione con il Signore Gesù, l’unico vero pastore delle nostre vite (cf. 1Pt 2,25): una relazione fatta di ascolto, conoscenza e sequela fiduciosa, una relazione impossibile da instaurare con chi ci è estraneo.

I farisei però non capiscono questa similitudine, e allora Gesù ricorre a un’altra immagine e afferma: «In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore … Se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo». Qui le due immagini del pastore e della porta si sovrappongono, fino a costituire un’unità inscindibile: Gesù è «il buon pastore che offre la vita per le pecore» (Gv 10,11) ed è la via che conduce al Padre (cf. Gv 14,6), la via divenuta porta per noi sue pecore. Egli è nel contempo il mediatore della salvezza e la salvezza stessa: la via, lo stile con cui ha vissuto la sua esistenza è divenuta la via sulla quale siamo chiamati a camminare noi suoi discepoli, se vogliamo vedere salvata la nostra vita.

Al contrario – egli dice – «tutti coloro che sono venuti prima di me sono ladri e briganti, ma le pecore non li hanno ascoltati». Con queste parole Gesù non si riferisce ai personaggi della prima alleanza. Sono infatti certamente passati attraverso di lui i pastori e i profeti fedeli di Israele, da Abramo fino a Giovanni il Battezzatore, ma altri sono venuti con pretese ingiustificate: i falsi messia e i falsi profeti, che cercavano solo la propria gloria (cf. Gv 7,18); i falsi pastori già duramente criticati da Geremia (cf. Ger 23,1-3) ed Ezechiele (cf. Ez 34,1-10)…

Ma lo sguardo di Gesù va anche ai pastori della sua chiesa, richiamati con parole che costituiscono un severo monito a vigilare sulla loro condotta: «Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza». Sì, coloro che nella chiesa svolgono un ministero di guida nei confronti del gregge sono avvertiti da Gesù: l’alternativa è tra l’essere pastori che si prendono cura delle pecore con amore e donano loro la vita in abbondanza oppure essere ladri e banditi che si preoccupano di pascere se stessi, sottraendo vita al gregge e finendo per dividerlo e disperderlo. E il modello posto davanti ai loro occhi è uno solo: Gesù, «il Pastore dei pastori» (1Pt 5,4), lui che «aveva compassione alla vista delle folle, perché erano come pecore senza pastore» (cf. Mc 6,34).
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