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Matteo Ferrari "Una speranza che non delude"

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Che cos’è la speranza? Noi abitualmente per comprendere questa parola così importante per la fede cristiana, partiamo dall’oggetto sperato. Quando parliamo di speranza facciamo riferimento ad un evento che può realizzarsi e speriamo accada; oppure pensiamo ad una cosa o persona che vorremmo possedere o incontrare.
Per la Bibbia non è così. Al centro della comprensione biblica della speranza non è l’oggetto sperato, ma l’azione di sperare. La Bibbia parte dal verbo non dal sostantivo. Ciò che interessa alle Scritture non è l’oggetto sperato, ma l’azione che compie il credente nel vivere nella speranza la sua esistenza.

«Io vigilo sulla mia parola»: il fondamento della speranza

Si tratta di una precisazione molto importante. Infatti per la Bibbia l’oggetto sperato, quando questo si inserisce nell’orizzonte della fede e del rapporto con Dio, non è una realtà che potrebbe anche non realizzarsi. La realizzazione è certa; è il modo di porsi dell’uomo di fronte all’agire di Dio ad essere incerto. Per l’uomo credente la vera questione è che egli sappia vivere la sua esistenza nella speranza e non che la cosa sperata possa o non possa realizzarsi. Infatti la speranza si esercita nei confronti di realtà promesse da Dio. Per questo la speranza è così fondamentale per la Scrittura. Infatti l’uomo biblico crede in una storia attraversata da una promessa di Dio, che, proprio perché fondata sulla Parola del Signore, non può deludere.

All’inizio del Libro di Geremia, nel contesto della sua vocazione profetica (Ger 1,1-19), troviamo una visione del profeta che può fornirci qualche spunto per riflettere sul tema della speranza nelle Scritture. Il Signore interroga Geremia sulla visione – «Che cosa vedi Geremia» – e il profeta risponde, affermando di vedere un ramo di mandorlo. Alla descrizione della visione da parte di Geremia, segue l’interpretazione della stessa da parte del Signore:

Il Signore soggiunse: «Hai visto bene, poiché io vigilo sulla mia parola per realizzarla». (Ger 1,12)

All’inizio di un libro profetico, segnato soprattutto dall’annuncio di una catastrofe imminente per il popolo – la conquista babilonese – questa visione iniziale è un primo annuncio di speranza per il popolo. Il testo gioca sull’assonanza in ebraico tra il termine «mandorlo» (shaqed) e il termine «vigilante» (shoqed). Il mandorlo è uno dei primi alberi che rimette i fiori allo spuntare della primavera; così il Signore è colui che garantisce il realizzarsi della sua Parola anche quando sembra non esserci più speranza per il futuro. La prima visione, collocata nel contesto della vocazione profetica di Geremia, annuncia un contenuto molto significativo di tutto il libro:

questo «vigilare» di YHWH intende affermare che c’è una forma, una corrente e una intenzionalità nella storia che non può essere annullata o evitata: tale intenzionalità sta al di sopra di ogni atteggiamento umano. Tale certezza è alla base della speranza umana ed è il fondamento del giudizio contro le pretese umane. (W. Brueggemann, Geremia, (Strumenti. Commentari 68), Claudiana, Torino 2015, 41)

È la vigilanza di Dio sulla realizzazione della sua Parola, è il fondamento della speranza del credente. Per questo motivo è più importante per la Bibbia l’atto di sperare che l’oggetto sperato. Infatti secondo le Scritture ebraiche l’oggetto sperato non è una realtà che può o meno realizzarsi. È invece una certezza, dal momento che la sua realizzazione viene garantita da Dio stesso. Ciò che viene sottolineato è l’atto che l’uomo compie vivendo nella storia con speranza, dal momento che questo ha a che fare con la sua fede e la sua relazione con il Dio della speranza. È significativo che nella Lettera agli Efesini si sottolinei che i pagani erano «senza speranza» (Ef 2,12), perché «estranei ai patti della promessa». La speranza è possibile perché si fonda sulla promessa di Dio. Si tratta di un dato molto significativo perché, in questo modo, la speranza diventa un tratto caratteristico e ineliminabile della fede, nella tradizione ebraico-cristiana.

C’è un altro testo del Libro di Geremia che può dirci qualcosa sulla speranza biblica. Si tratta del brano di Ger 31,1-22. Questo brano si inserisce nei cc. 30-31 del Libro di Geremia che formano una unità letteraria abbastanza omogenea e si presentano come l’annuncio del futuro che Dio sta preparando per il suo popolo. Questa sezione del libro di Geremia è anche detto “libro della consolazione”. Infatti, anche se il verbo “consolare” (nhm) compare solo due volte in Ger 31,13.15, questo è il tema che caratterizza la sezione: un annuncio di consolazione e di speranza per Giuda che si trova nelle condizioni dell’oppressione militare e dell’esilio. Il culmine della sezione consiste nell’annuncio di una nuova alleanza, che troviamo in Ger 31,31-34.

All’inizio del libro della consolazione, in Ger 30,1-4, Dio promette, tramite la voce del profeta, di cambiare la sorte del suo popolo: la sorte sarà cambiata con il dono della terra a Israele e a Giuda. Questi versetti quindi introducono il tema dominante di questi due capitoli di Geremia: la nuova opera che Dio sta per compiere in favore del suo popolo. All’inizio del testo a cui stiamo facendo riferimento si dice che la radice di tutto è l’amore eterno di Dio:

«Ti ho amato di amore eterno, per questo continuo a esserti fedele. 4Ti edificherò di nuovo e tu sarai riedificata, vergine d’Israele. Di nuovo prenderai i tuoi tamburelli e avanzerai danzando tra gente in festa. 5Di nuovo pianterai vigne sulle colline di Samaria; dopo aver piantato, i piantatori raccoglieranno». (Ger 31,3-5)

La fedeltà di Dio è più duratura del peccato del popolo. Il Signore si rivela “da lontano” perché il popolo si è allontanato da lui (cfr. Ger 23,23 Sono io forse Dio solo da vicino – dice il Signore – e non anche Dio da lontano?). Si parla di costruire e piantare come nella vocazione del profeta in 1,10. Costruire indica la riedificazione delle città, piantare indica la vita agricola come attività che si compie quando è possibile il futuro e quando c’è pace.

Da qui nasce la speranza, a cui si fa esplicito riferimento in Ger 31,17. Nel testo si ribadisce che è possibile sperare per il popolo perché Dio lo ama e rimane fedele. Dio stesso afferma, per bocca del profeta:

Non è un figlio carissimo per me Èfraim, il mio bambino prediletto? Ogni volta che lo minaccio, me ne ricordo sempre con affetto. Per questo il mio cuore si commuove per lui e sento per lui profonda tenerezza». (Ger 31,20)

La speranza dell’uomo biblico è legata al volto di Dio. San Paolo nella lettera ai Romani può chiamare il Dio dei padri e di Gesù come «il Dio della speranza» (Rm 15,3). La speranza diventa un attributo di Dio, inscindibile dal suo stesso nome.

«Ho sperato nel Signore»: dalla speranza del popolo alla speranza del singolo

I Salmi sono un esempio di come il volto del «Dio della speranza» che segna la storia del popolo, giunga a toccare l’esistenza dei singoli credenti. Non solo il popolo può sperare perché il Signore è fedele e porterà a termine le sue promesse di salvezza, ma ogni singolo credente è chiamato a vivere la sua esistenza nella speranza, come elemento che può trasfigurare la sua vita, darle sapore e colore.

Nel Salmo 25 il Salmista può cantare: «Mi proteggano integrità e rettitudine, perché in te ho sperato» (Sal 25,21). Tutta la vita del credente è sotto il segno della integrità e della rettitudine perché è segnata dalla speranza nel Signore. La speranza è quindi la possibilità per il credente di avere una vita retta e giusta. Guardare al futuro con gli occhi della speranza rende possibile una vita bella e piena. Anche la «piccola storia» del singolo credente può diventare una «storia di salvezza» perché illuminata dalla speranza che si fonda sull’amore fedele di Dio.

Nel Salmo 27 il salmista invita il credente alla speranza: «Spera nel Signore, sii forte, si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore» (Sal 27,14). La speranza è fonte di fortezza nell’affrontare la vita. L’invito alla speranza come modo di stare del credente nel mondo si fonda per il salmista in una certezza: «Sono certo di contemplare la bontà del Signore» (Sal 27,13). Si rivela molto bene in questi due versetti come speranza e certezza, nella Bibbia, camminino insieme e non siano in contrapposizione, come lo sono nel nostro linguaggio comune.

Conclusione

La speranza, per come abbiamo potuto vedere in queste brevi riflessioni su alcuni testi biblici, per la Scrittura è il modo con cui i credenti abitano la storia e, soprattutto, guardano al futuro. Come un credente sta nella storia? È una domanda che trova in Dio la sua risposta. Il credente abita la storia credente, cioè facendo affidamento in un Dio che ama «di amore eterno». Per il credente l’esito della storia non è una «incognita», ma una certezza, che ha in Dio il suo garante. Da qui deriva la possibilità di abitare la storia con speranza. La «disperazione» è un vocabolo che dovrebbe essere sconosciuto al credente.

Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli
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