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Lidia Maggi "Ritorna, Signore !"

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in “Riforma” 
settimanale delle chiese evangeliche battiste metodiste e valdesi 
del 29 novembre 2019

Mosè, nella precarietà del deserto, implora Dio di ritornare al suo popolo perchè senza di Lui l'esistenza umana parla solo il linguaggio dell'effimero e della resa 

Proprio perché il Dio biblico si lascia incontrare nella storia, le Scritture offrono una prolungata riflessione sul senso del tempo. Tra le molte pagine il Salmo 90 è particolarmente prezioso, anche per la sua audacia di penetrare nella stanza segreta della “preghiera di Mosè, uomo di Dio”. Tra le righe scorgiamo l’amico di Dio, che osa parlargli faccia a faccia; e, insieme, intuiamo il profeta e maestro d’Israele, la guida che discute con Dio e lo implora a favore del suo popolo. Mosè, colui che ha sperimentato in terra d’Egitto i frutti avvelenati di una politica distruttiva e, insieme, testimone della liberazione.

Ma è proprio la vicenda dell’esodo a mostrarci che i due tempi – quello dell’assenza e quello della presenza divina – non si succedono in maniera lineare, assicurando alla storia il lieto fine della salvezza. Il racconto dell’esodo mette in scena la nostalgia per l’Egitto, la sensazione di essere abbandonati da Dio nel deserto e l’immediata scelta di seguire idoli più a portata di mano. La scena della liberazione diviene il teatro del tradimento, nel quale il popolo e Dio si rinfacciano le colpe. “Ritorna”, dice Dio a Israele: un invito a ritornare sui propri passi, a ravvedersi. Un imperativo a vivere, dando fiducia a Colui che l’aveva strappato dalle catene. Ma quella parola, alle orecchie dei fuggiaschi, suona come un ritorno alla polvere, un imperativo di morte. Nella preghiera, Mosè esprime tutta la precarietà della condizione umana, patita da Israele. È questo il prezzo da pagare, nel prendere le distanze dal delirio di onnipotenza del faraone? È questo il prezzo della libertà? La precarietà del deserto, dove acqua e cibo non sono assicurati e i sentieri ancora tutti da tracciare? Che cosa significa ritornare figlie e figli di Adamo? Vuol dire sperimentare la fragilità di una vita breve e fallibile? Bisogna riconciliarsi con questa condizione precaria per non tornare in Egitto? Nella preghiera, Mose discute con il suo Dio. E la preghiera è lamento per una vita che si riduce a polvere, erba, sogno, vanità: un tempo effimero e troppo breve. Ma, nel dialogo, il lamento fa spazio a uno sguardo sapienziale sull’esistenza e all’invocazione: «insegnaci a contare, a raccontare i nostri giorni»; «donaci un cuore saggio». A Dio Mosè domanda di venire ammaestrati nell’arte di vivere; di essere strappati da quella nostalgia per l’Egitto che scatena l’ira del Dio amante della vita, inorridito per lo spettacolo di morte che avvelena la terra e i terrestri. E con l’abilita di chi ha imparato a sostenere la discussione, a combattere con Dio, ecco che Mosè ribalta la parola imperativa precedentemente pronunciata affinché il popolo si converta: «ritorna, Signore; fino a quando?». Anche tu, o Dio, devi ritornare, perche senza di Te il cammino si ingarbuglia, la terra torna a gemere e la tristezza si impossessa dei cuori. Senza di Te la condizione umana parla solo il linguaggio dell’effimero, della resa, dell’assurdo. Se torni, potremo riconciliarci con le nostre fragilità e sperimentare che persino l’opera delle nostre mani, sabbia che scivola tra le dita, può mostrare una propria stabilità e consistenza.

Nella preghiera di Mosè scorgiamo il teatro del cuore umano e insieme quello della storia, vista con gli occhi di chi ha acquisito un cuore saggio. È questa la scena di cui le chiese fanno memoria nel
tempo d’Avvento. Quando Dio dice al suo popolo: “ritornate, figlie figlie di Adamo”; ritornate a considerare la vostra esistenza, a discernere i vostri giorni; ravvedetevi dalle scelte idolatriche, portatrici di morte. Non presumete di avere ormai alle spalle l’Egitto: l’esodo si distende lungo tutti i vostri giorni. Oggi, se udite la mia voce, “ravvedetevi e credete all’Evangelo”.
E noi diciamo a Dio: «ritorna, Signore», ci manchi. Ritorna dall’esilio in cui ti abbiamo relegato, illusi di poter fare a meno di te. Con la tecnica, ci siamo sognati immortali e il sogno si è trasformato in incubo. Ritorna e vieni a cercarci nei luoghi dove ci siamo perduti. Ci manchi, manchi a questa storia sterile di futuro che grida desolata. Manchi agli umani che non aspettano più giustizia e mirano unicamente a sopravvivere, riempiendo il ventre di cipolle. Ritorna a essere il Dio-con-noi, a commuoverti e sdegnarti per questa umanità, per noi che ci sentiamo come pecore senza pastore. Fino a quando? Torna, vieni. Maranatha!
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