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I laici nella chiesa del futuro

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Vito Mignozzi
luglio-agosto 2019

1. È l’ora dei laici? «Sembra che l’orologio si sia fermato!»

Non sono mie le parole che danno il titolo a questo paragrafo. Appartengono a papa Francesco. Le ha scritte in una lettera inviata il 19 marzo 2016 al cardinale Marc Ouellet, presidente della Pontificia commissione per l’America Latina[1].
Il riferimento è senza dubbio alla situazione delle chiese latinoamericane, ma non si fa troppa fatica a trovare coerente applicazione della medesima espressione per altre situazioni ecclesiali, per esempio quella italiana. Siamo, di fatto, in un frangente storico per la vita delle comunità cristiane nel quale la moda di certi slogan rischia di coprire simpaticamente l’inconsistenza di contenuti che vi si nasconde, col triste esito finale di registrare, quando va bene, una stasi, se non addirittura un vuoto piuttosto problematico.
È piuttosto evidente come in questo impasse si trovi anche l’attuale vicenda ecclesiale dei laici e la corrispettiva teologia del laicato. Indagarne le possibili ragioni, richiamandone i principali passaggi storici vissuti in questi ultimi decenni, può risultare una via promettente ai fini di uno sguardo rivolto al futuro.
In genere si attribuisce al magistero del Vaticano II il merito di aver messo a tema la questione dei laici, riconoscendo loro una soggettualità in relazione alla missione ecclesiale e tirandoli in tal modo fuori da secoli nei quali erano stati considerati principalmente destinatari della cura d’anime affidata ad altri. Non c’è dubbio, dunque, che, a partire dall’ultimo concilio, l’attenzione ai laici sia diventata uno dei capitoli nuovi della riflessione ecclesiologica e che nella vita della chiesa la loro presenza e la loro azione abbiano scritto pagine nuove. Si pensi soltanto alla riscoperta del sacerdozio battesimale, che ha portato al riconoscimento di una precisa fisionomia del credente oltre che della titolarità ecclesiale degli stessi laici.
Tuttavia, gli entusiasmi conciliari hanno fatto presto i conti con rapide trasformazioni sul piano sociale che hanno corroso le tradizionali dinamiche di identificazione e di socializzazione del soggetto, rifiutando o quantomeno delegittimando ogni riferimento religioso. Anche nella vita della chiesa l’anelito all’aggiornamento auspicato dal concilio ha, di fatto, creato una situazione di incertezza, causata dal desiderio di prendere congedo dall’impianto tipicamente tridentino senza aver ancora individuato un “nuovo” da perseguire. Queste e altre vicende hanno inciso non poco sulla vicenda dei laici e conseguentemente sulla stessa teologia del laicato, temi questi che hanno perso di interesse a favore di altre questioni ritenute in quel momento più urgenti e decisive.
La stessa riflessione sui laici, sviluppata nei documenti conciliari, è stata paradossalmente messa in crisi dallo stesso Vaticano II che, con la riscoperta della categoria di «popolo di Dio», ha rilanciato la priorità del soggetto ecclesiale collettivo rispetto alla differenziazione degli stati di vita (chierici, religiosi, laici), tanto cara alla visione ecclesiologica propria della societas perfecta, che ancora sopravviveva nei dettati conciliari sui laici[2].
Sono giunti poi l’appuntamento col Sinodo dell’87 e la relativa esortazione apostolica Christifideles laici di Giovanni Paolo II[3], che hanno segnato un passaggio rilevante ai fini dello sviluppo della nostra tematica. Sono anni quelli nei quali a tema è stata messa la questione della secolarità in un’oscillazione tra il riconoscimento di un proprium dei fedeli laici (Giuseppe Lazzati) e l’affermazione di un attributo riferibile a tutto il soggetto ecclesiale (Bruno Forte e Severino Dianich). Nello stesso tempo l’attenzione sull’apostolato dei fedeli laici e sulle forme di ministerialità ha conosciuto sicuramente una vivacità ecclesiale, ma nondimeno una serie di problemi sul piano della riflessione.
La ricostruzione avrebbe bisogno ancora di ulteriori passaggi[4]. È sufficiente rilevare che la teologia sui laici non è andata di molto avanti. E anche la vita e il loro impegno non ha conosciuto grandi sviluppi. Ci si è trovati con generazioni di laici che hanno conosciuto il concilio, si sono formati alla sua scuola e, tuttavia, per una serie di ragioni non sempre derivate da loro, con difficoltà sono riusciti a interpretare una figura ecclesiale all’altezza della propria identità. Allo stesso tempo sono ancora tanti i laici che vivono la vita cristiana, ignorando le peculiarità della loro vocazione nella chiesa e nel mondo e reiterando così dinamiche ecclesiali proprie di altre epoche, o addirittura accontentandosi di rimanere in una sorta di consapevolezza credente non adulta.
Uno sguardo alla vita sociale attuale rende conto di quanto clamorosa sia l’assenza da parte dei laici cristiani nei contesti di vita che sono loro propri. Al contrario, i dibattiti intraecclesiali sono indicativi di come l’attenzione tenda ad attestarsi prevalentemente su una figura di laico che vede definita la propria missione attorno a una ministerialità intra moenia ecclesiae, e che – a buon diritto – rafforza le ragioni di una potestas di parola da esercitare nei luoghi della partecipazione e del discernimento. Ritengo che da questa situazione valga la pena di partire per immaginare cosa potrà e dovrà essere il laico nella chiesa del futuro.

2. Oltre il rischio di un mero gioco di parole

Un segnale sintomatico della posta in gioco e della ricerca di un proprium per i cristiani laici sta nel tentativo, che la teologia prova a fare ormai da decenni, di ricorrere a formulazioni linguistiche o a espressioni altre, in grado di tirar fuori la riflessione da una sorta di stallo, legata anche all’uso del termine «laico». Quest’ultimo, infatti, pare ad alcuni inficiato nei suoi significati originari, tanto da aver perso ogni sua spendibilità teologica. Pesa su tale verdetto il senso con cui se ne parla soprattutto nel quarto capitolo della Lumen gentium, dedicato ai laici, e nel decreto «sull’apostolato dei laici» Apostolicam actuositatem. Sono testi nei quali è ancora molto presente la separazione netta tra i compiti della gerarchia e quelli dei laici, con una conseguente riduzione del proprium di questi ultimi al rapporto con il temporale e una lettura complessiva del laicato che non riesce a liberarsi dalle strettoie di una visione contrappositiva rispetto alla gerarchia. È evidente come le acquisizioni preconciliari riecheggino ancora nella sottintesa separazione tra ad extra e ad intra, delegati l’uno al laicato, l’altro al clero.
Ad aver tentato un primo superamento di tale condizione è stata la scuola teologica milanese, già a cominciare dalla seconda metà degli anni Ottanta del secolo scorso. Intendendo abbandonare definitivamente la coppia sacerdozio-laicato, sarà soprattutto Giuseppe Colombo a coniare la formula del «cristiano e basta»[5], sottolineando come impellente il superamento del dualismo tra natura e soprannatura, non assente neanche dal Vaticano II, e origine di visioni ecclesiologiche tendenzialmente dualiste. Nell’analisi del teologo milanese è evidente un riconoscimento di responsabilità attribuito all’uso del termine «laico» e alla teologia che ne è seguita rispetto a come sia stato, invece, ritenuto insignificante il «cristiano» in quanto tale. Occorre, dunque, tornare al «cristiano e basta», evitando di continuare a ricorrere alla categoria di laico, che tra l’altro non avrebbe alcun valore teologico essendo solo una distinzione sociologica, e di attribuire a tale figura necessariamente un ministero, pur di dargli una qualifica ulteriore rispetto all’essere battezzato[6].
Un’operazione più recente è quella realizzata da Marco Vergottini il quale, annunciando come ormai improcrastinabile l’atto di congedo dalla teologia del laicato e ritenendo al contempo esaurite le potenzialità offerte da chiavi interpretative come quella dell’apostolato e dell’impegno (engagement), ritiene sia giunto il tempo di accordare maggior credito alla categoria della testimonianza. Il laico è, dunque, un “cristiano testimone”. Con tale categoria il nostro teologo intende rileggere la responsabilità propria del cristiano che deriva dalla maturazione della propria coscienza credente, senza dover ancora ricorrere a logiche di assegnazione di compiti specifici e di ambiti esclusivi per l’esercizio del proprio impegno[7].
Sono tentativi che meritano di essere presi in considerazione, non tanto per l’originalità di una ricerca terminologica fine a se stessa, quanto per l’intenzionalità in essi insita e che porta a individuare eventuali vie nuove, coerenti nel complesso di un quadro ecclesiologico complessivo in notevole mutamento.

3. Un «noi» smarrito da ritrovare

Un dato evidente rispetto alla recezione della lezione conciliare è che, ad avere la meglio negli sviluppi della teologia del laicato, sia stata la prospettiva del quarto capitolo della Lumen gentium, piuttosto che quella maturata nel secondo capitolo della medesima costituzione. Per intenderci, ha avuto maggiore seguito una visione divisiva dei soggetti ecclesiali con conseguente interpretazione di un’identità – quella dei laici, ovviamente – individuata alla luce di quella dei ministri ordinati, secondo una logica di attribuzione ai primi di quanto non poteva appartenere ai secondi. L’altra via interpretativa, sicuramente più promettente, avrebbe permesso un punto di partenza diverso, individuabile non nella differenza di funzioni, ma nella comune dignità battesimale e nella medesima appartenenza al «noi» ecclesiale del «popolo di Dio». Le vicende relative alla recezione di tale categoria nella stagione postconciliare esibiscono, però, sufficienti ragioni per mostrare come mai la teologia si sia mossa in altre direzioni.
Lo sviluppo del magistero attuale, tuttavia, sta permettendo un recupero interessante dei significati insiti nella figura ecclesiale del popolo (di Dio), a partire proprio da uno sguardo sulla totalità dei credenti che costituiscono il soggetto collettivo della comunità cristiana, sulle dinamiche di appartenenza e di partecipazione, sullo stile sinodale che configura il modo di essere e di agire della chiesa nella storia e nel mondo di oggi. Le prospettive dischiuse da Evangelii gaudium, in particolare, orientano verso una ricollocazione di tutte le figure ecclesiali all’interno di una considerazione fondamentale che attiene alla natura credente di questo «santo popolo fedele di Dio» che è la chiesa[8]. In questa logica la priorità è assegnata non anzitutto alle funzioni (ministeriali o carismatiche che siano), ma alla vita teologale dei credenti in virtù della quale il «noi» ecclesiale è tale perché costituito da christifideles. Ciascuno di questi vive un’esperienza personale e originale di legame col Signore Gesù che dà forma alla propria esistenza e che si esprime in una relazione con altri credenti nella comunità dei discepoli del Signore. Secondo tale prospettiva, il laico credente al quale guardare è colui che esprime una figura singolare di esperienza di fede, quella della propria esistenza individuale appunto, intersecata dentro un legame ecclesiale che configura la sua coscienza e il suo agire credenti.
In questo modo l’accento qualificante l’esistenza laicale, come del resto qualsiasi altra nella chiesa, non è posto solo o anzitutto sul proprium di una funzione da esercitare, quanto piuttosto sulla qualità della propria esperienza di vita credente e di sequela del vangelo, determinante nella partecipazione alla missione di tutta la chiesa.

4. Non solo più alcuni

Ripartire dalla considerazione della chiesa nella sua figura di popolo è un’operazione promettente non solo perché il punto di partenza evita di imbattersi immediatamente in logiche contrappositive, ma anche perché la figura del christifidelis obbliga a mantenere aperta la prospettiva di uno sguardo sui laici che non si identifica solo con alcune delle sue possibili configurazioni. In un rischio simile è incorsa una certa teologia del laicato troppo radicata esclusivamente nella questione della secolarità o in quella della ministerialità. Ne sono derivate conclusioni, che spesso hanno assunto forme di slogan, secondo le quali i laici, in fondo, sono coloro che stanno nel mondo o coloro a cui nella chiesa è finalmente aperta la via per una ministerialità da esercitare.
Si tratta, ovviamente, di temi afferenti alla riflessione credente sui laici. Assolutizzarli, però, ha significato occuparsi non più di tutte le possibili espressioni di esistenza laicale, ma solo di quelle che meglio riuscivano a esprimere i tratti individuati come decisivi per un profilo di cristiano laico[9]. In tal senso sono illuminanti le considerazioni con cui papa Francesco rilancia l’attenzione sull’intero soggetto ecclesiale e sul compito di evangelizzazione che riguarda tutti i credenti, nessuno escluso:

In virtù del battesimo ricevuto, ogni membro del popolo di Dio è diventato discepolo missionario (cf. Mt 28,19). Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione e sarebbe inadeguato pensare a uno schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto del popolo fedele fosse solamente recettivo delle loro azioni. La nuova evangelizzazione deve implicare un nuovo protagonismo di ciascuno dei battezzati (EG 120).

L’origine battesimale dell’esistenza cristiana costituisce la ragione principale per la quale ogni credente è chiamato a interpretare nella propria vita l’adesione al vangelo di Gesù e l’appartenenza alla sua comunità. In tal senso occorre tornare a considerare in tutta la sua pregnanza l’affermazione sull’autonomia responsabile dei laici cristiani. Non è un caso che il concilio, nell’ambito della riflessione sulla natura sacerdotale che è propria di tutto il popolo di Dio, abbia poi riletto anche l’esistenza dei battezzati secondo lo schema dei tria munera. Si tratta di un riferimento che non può essere smarrito, soprattutto perché fonda nella comune dignità battesimale la responsabilità di una vita configurata a Cristo e vissuta nella partecipazione, secondo la maniera propria di ciascuno, alla missione ecclesiale. Solo su tale fondamento ha senso recuperare la centratura sulla secolarità dell’impegno laicale e, di conseguenza, la partecipazione ai processi ecclesiali di discernimento in ordine alla vita e alla missione della chiesa[10]. A questo proposito suonano come un monito severo le parole di papa Francesco nella lettera inviata al cardinale Ouellet:

Molte volte siamo caduti nella tentazione di pensare che il laico impegnato sia colui che lavora nelle opere della chiesa e/o nelle cose della parrocchia o della diocesi e abbiamo riflettuto poco su come accompagnare un battezzato nella sua vita pubblica e quotidiana […]. Abbiamo generato un’élite laicale credendo che sono laici impegnati solo quelli che lavorano in «cose dei preti»[11].

Alla luce di ciò, pare una conclusione persino ovvia quella che riconosce la partecipazione dei laici alla missione ecclesiale come altro rispetto al mero mantenimento di una struttura o di servizi da loro garantiti nella comunità. Questa consiste piuttosto nell’impegno a tenere viva la sequela del Signore e la responsabilità di una testimonianza capaci di assumere anzitutto la forma della vita, prima ancora che quella della parrocchia[12]. A questa sfida sono chiamati in causa davvero tutti i cristiani laici.

5. Uomini e donne

Un ulteriore elemento sul quale occorre ancora far evolvere le rappresentazioni ecclesiali in una prospettiva di nuove acquisizioni è dato dal fatto che i laici cristiani sono uomini e donne. Non sembri questo un dato scontato né una considerazione banale. Si tratta, infatti, di non accontentarsi soltanto di un accertamento relativo alla massiccia partecipazione delle donne, senza dubbio più numerosa di quella degli uomini, alla vita della chiesa nelle forme diverse con cui essa è vissuta. Il problema è altrove. Precisamente lì dove, nel quadro di una chiesa tutta carismatica e tutta ministeriale, che ha pure recuperato l’idea di sacerdozio comune, insieme alla pluralità di vocazioni e di esistenze credenti di laici e laiche, si costruisce una figura collettiva di chiesa che vive grazie all’apporto di parola e di presenza visibile e attiva tanto degli uomini quanto delle donne.
Senza dubbio dal concilio a oggi abbiamo assistito a processi di riconoscimento che si sono attivati e che progressivamente stanno mutando il volto stesso della chiesa. In genere appaiono come superate logiche di subordinazione o di un certo androcentrismo, che pure hanno caratterizzato l’interpretazione delle relazioni uomo-donna nella chiesa per molti secoli. D’altra parte, resta ancora un traguardo da raggiungere quello di una reciprocità che si dà nella forma di una partnership condivisa, segnata da corresponsabilità e autonomia riconosciute reciprocamente, di uomini maschi e donne[13]. Occorre ancora compiere alcuni passi perché donne e uomini, laici e laiche possano prendere parte insieme ai processi comunicativi, partecipativi, decisionali che fanno chiesa a pieno titolo[14]. Non è certo la via delle rivendicazioni a rendere più praticabile il raggiungimento di una figura ecclesiale del genere. È questione, invece, di un impegno condiviso nella costruzione faticosa e quotidiana della vita della comunità, in un comune ascolto dello Spirito e in un sereno discernimento sulle vie da percorrere per la fedeltà al vangelo di Gesù e per il futuro della chiesa.

6. Formati allo «stile» cristiano

Il laico nella chiesa del futuro non potrà evitare di fare i conti con una formazione cristiana che possa renderlo pronto a dare ragione del proprio vissuto credente[15]. In realtà, questa non rappresenta un’esigenza nuova. Già dal concilio, infatti, l’insistenza sulla formazione dei laici, così come affermato nell’ultimo capitolo di Apostolicam actuositatem, ha costituito un tema col quale la chiesa tutta e le singole comunità cristiane hanno dovuto fare i conti ripetutamente[16]. Nel tempo attuale, però, e nel futuro ancora meglio, non è e non sarà più pensabile rassegnarsi a una mentalità di f ede ferma a un livello di alfabetizzazione, incapace di sostenere con qualità la proposta di una vita cristiana che è fortemente sfidata dai contesti attuali nei quali i laici e le laiche vivono e operano. Papa Francesco con molta parresia ricorda che, accanto a tanti laici formati e coscienti della loro missione nel mondo, non mancano coloro che non hanno maturato la coscienza di questa responsabilità. I motivi possono essere diversi:

In alcuni casi perché non si sono formati per assumere responsabilità importanti, in altri casi per non aver trovato spazio nelle loro chiese particolari per poter esprimersi ed agire, a causa di un eccessivo clericalismo che li mantiene al margine delle decisioni. Anche se si nota una maggiore partecipazione di molti ai ministeri laicali, questo impegno non si riflette nella penetrazione dei valori cristiani nel mondo sociale, politico ed economico. Si limita molte volte a compiti intraecclesiali senza un reale impegno per l’applicazione del vangelo alla trasformazione della società (EG 102).

Sarà quanto mai necessario recuperare un codice interpretativo in grado di risignificare i luoghi della vita (affetti, lavoro, vita sociale in tutti i suoi aspetti) come ambiti decisivi in cui realizzare una presenza e uno specifico impegno cristiano. Questo modo di stare nel mondo è l’unico che può abilitare all’esercizio di quel singolare sensus fidei per mezzo del quale i battezzati partecipano alla costruzione del consensus, dei processi comunicativi e partecipativi nella comunità.
Tale esigenza inderogabile non può lasciare distratte le chiese locali rispetto all’offerta di strumenti e di occasioni in grado di rendere praticabili percorsi formativi per laici e laiche che desiderano vivere corresponsabilmente la partecipazione alla missione della chiesa a partire dalle proprie condizioni di vita. La loro parola, le loro scelte potranno essere significative se avranno maturato quell’autorevolezza che nasce dalla presa di coscienza di un’identità – quella del discepolo del Signore in ascolto costante della sua Parola – che dà una postura nella presenza e nell’impegno nel mondo[17]. Per tale ragione ancora il papa può dire che «la formazione dei laici e l’evangelizzazione delle categorie professionali e intellettuali rappresentano un’importante sfida pastorale» (EG 102).


Bibliografia essenziale

Oltre a quanto citato nelle note, si veda anche Anche i laici possono predicare?, Edizioni Qiqajon, Magnano (BI) 2017; G. Canobbio, Laici o cristiani? Elementi storico-sistematici per una descrizione del cristiano laico, Morcelliana, Brescia 1992; G. Canobbio (ed.), Libertà di parola e sinodalità. Tra diritto e responsabilità, AVE, Roma 2017; S. Dianich, La missione della chiesa. I laici e la sacra potestas. Una riflessione teologica, in Id., Diritto e teologia. Ecclesiologia e canonistica per una riforma della chiesa, EDB, Bologna 2015, 125-153; M.C. Marzolla, Donne e ministeri: servizio e responsabilità, in «CredereOggi» 38 (3/2018) n. 225, 113-126; C. Militello (ed.), I laici dopo il concilio: quale autonomia?, EDB, Bologna 2012; S. Noceti, Quali strutture per una chiesa in riforma?, in «Concilium» 54 (4/2018) 100-116; E. Palladino, Laici e società: metodo e bilancio a cinquant’anni dal concilio, Cittadella Editrice, Assisi 2013.

[1] Francesco, Il santo popolo fedele di Dio, in «Il Regno-Documenti» 61 (7/2016) 202.

[2] È il caso del quarto capitolo della Costituzione Lumen gentium (21 novembre 1964) e del Decreto Apostolicam actuositatem (18 novembre 1965). Cf. S. Dianich - S. Noceti, Trattato sulla chiesa, Queriniana, Brescia 2002, 392-400.

[3] Cf. Sinodo dei vescovi, La vocazione e la missione dei laici nella chiesa e nel mondo. VII Assemblea generale ordinaria (1-30 ottobre 1987); Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Christifideles laici (30 dicembre 1988).

[4] Si può far riferimento al contributo di P. Río, I fedeli laici a 50 anni dal Concilio Vaticano II. Bilancio e prospettive per una chiesa in uscita, in «Annales Theologici» 31 (2017) 103-122.

[5] Cf. G. Colombo, La «teologia del laicato». Bilancio di una vicenda storica, in I laici nella chiesa, LDC, Leumann (TO) 1986, 26-27.

[6] Cf. ibid., 9-27.

[7] M. Vergottini, Il cristiano testimone. Congedo dalla teologia del laicato, EDB, Bologna 2017, in particolare le pp. 279-291.

[8] Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium (24 novembre 2013) (EG), n. 125.

[9] Cf. V. Bosch, Azione ecclesiale e impegno nel mondo dei fedeli laici. Una insidiosa distinzione, in «Annales Theologici» 26 (2012) 127‐136.

[10] A. Borras, D’une théologie du laïcat à une théologie de la condition baptismale?, in «Revue Théologique de Louvain» 47 (2016) 76-101.

[11] Francesco, Il santo popolo fedele, 203.

[12] Cf. V. Angiuli, Laici nel terzo millennio. Afasia o testimonianza?, in «Rivista di Scienze Religiose» 20 (2006) 283‐304.

[13] S. Noceti, Donne, ministero, ministerialità, in C. Simonelli - M. Ferrari (edd.), Una chiesa di donne e uomini, Edizioni Camaldoli, Camaldoli 2015, 121-132. Papa Francesco, a tal proposito, afferma: «C’è ancora bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella chiesa. Perché “il genio femminile è necessario in tutte le espressioni della vita sociale; per tale motivo si deve garantire la presenza delle donne anche nell’ambito lavorativo” [Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 295] e nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti tanto nella chiesa come nelle strutture sociali» (EG 103).

[14] Cf. V. Mignozzi, Esiste un’autorità dei christifideles laici nella chiesa? Linee interpretative (sostenibili) in prospettiva ecclesiologica, in «Apulia Theologica» IV (1/2018) 151-172; si veda pure il contributo di M. Visioli, La potestas e il sacramento dell’Ordine, in «CredereOggi» 38 (3/2018) n. 225, 35-49, in particolare 44-47; di un certo interesse anche M. Salvatore, Le figure di «responsabili» non presbiteri, in ibid., 51-64.

[15] Sul tema merita una certa attenzione un volumetto di recente pubblicazione a firma di D. Scaramuzzi, Quotidiano ecclesiale. Corso per la formazione cristiana, Sao Ko Kelle Terre Editrice, San Giovanni Rotondo (FG) 2018.

[16] Cf. V. Mignozzi, II. Apostolicam actuositatem. Commento, in S. Noceti - R. Repole (edd.), Apostolicam actuositatem. Gravissimum educationis. Perfectae caritatis. Commentaio ai documenti del Vaticano II, EDB, Bologna 2019, 371-393.

[17] G. Campanini, Quale voce per i laici nella chiesa? Un bilancio a cinquant’anni dal Concilio, in «Aggiornamenti Sociali» 63 (2012) 406‐416.
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