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Luciano Manicardi "Barriere e soglie"

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21 aprile 2019
omelia per la Pasqua del Signore


Lc 24,1-12

In quel tempo 1 il primo giorno della settimana, al mattino presto esse si recarono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato.2Trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro 3e, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. 4Mentre si domandavano che senso avesse tutto questo, ecco due uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante. 5Le donne, impaurite, tenevano il volto chinato a terra, ma quelli dissero loro: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?6Non è qui, è risorto. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea 7e diceva: «Bisogna che il Figlio dell'uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno»». 8Ed esse si ricordarono delle sue parole 9e, tornate dal sepolcro, annunciarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. 10Erano Maria Maddalena, Giovanna e Maria madre di Giacomo. Anche le altre, che erano con loro, raccontavano queste cose agli apostoli. 11Quelle parole parvero a loro come un vaneggiamento e non credevano ad esse. 12Pietro tuttavia si alzò, corse al sepolcro e, chinatosi, vide soltanto i teli. E tornò indietro, pieno di stupore per l'accaduto.

Fratelli e sorelle, amici e ospiti,

in questa santa notte risuona l’inno di giubilo “Cristo è risorto”, le porte della morte sono infrante; “Cristo è risorto”, egli ha vinto la morte e ci ha aperto il passaggio al Regno di Dio; “Cristo è risorto” egli ha spezzato i vincoli della morte. Il muro di separazione è abbattuto, le catene dell’Ade sono vinte, i chiavistelli degli Inferi sono spezzati, la morte non è più barriera che separa definitivamente dalla vita, ma soglia che immette nella vita eterna. Questo annuncio gioioso ci raggiunge attraverso le espressioni enfatiche degli inni liturgici, ma innanzitutto noi lo ascoltiamo nelle pagine molto più sobrie dell’evangelista Luca che ci parlano delle donne al sepolcro in quel primo giorno dopo il sabato. Evento in cui troviamo barriere che diventano soglie che possono essere varcate e soglie che si tramutano in barriere insormontabili.

Alcune donne, di cui Luca ricorderà il nome, si recano al sepolcro al mattino presto, all’alba, ai primi bagliori dell’alba, spinte da un’urgenza, da un’ansia che è l’ansia dell’amore. Dicendo che le donne portano gli aromi che avevano preparato, Luca lega questo gesto agli eventi del giorno precedente, quando esse prepararono aromi e profumi e poi rispettarono il riposo del sabato e rimasero in attesa che il giorno passasse per compiere l’atto che stava loro a cuore. Siamo di fronte alla prima soglia che incontriamo nel nostro testo. La soglia dell’attesa. Esse rispettano il comando del riposo sabbatico, ma il loro cuore freme, gli aromi attendono di spandersi sul corpo del loro Signore e Maestro. Sì, l’attesa è una soglia: soglia tra ora e dopo, tra oggi e domani, tra tempo ed eternità. E le donne sostano sulla soglia del tempo del sabato in attesa dell’alba, per poter seguire il loro desiderio e raggiungere il corpo di Gesù. Se le donne giungeranno alla fede nel Risorto è grazie al loro amore per il corpo di Gesù: la fede nasce dall’amore. Pur di non separarsi fino all’ultimo dal corpo di Gesù, o almeno della sua visione, pur di non distaccarsene finché è loro possibile e per quel che è loro consentito, esse, che hanno seguito Gesù fin dalla Galilea, giungono perfino a seguire – dice Luca – un altro uomo, Giuseppe, si sottomettono perfino alla sequela di un membro del sinedrio, uomo buono e giusto certo, ma soprattutto uomo importante e potente che riesce a ottenere da Pilato il corpo di Gesù per dargli sepoltura. Si mettono a seguire un sinedrita, pur di restare sulle tracce di Gesù, pur di vedere dove veniva posto il corpo di Gesù. Anzi, Luca non dice che esse guardarono dove venisse sepolto (cf. Mc 15,47), ma come: “Guardarono il sepolcro e come era stato posto il corpo di Gesù” (Lc 23,55).Il loro sguardo è colmo di attenzione e tenerezza verso quel corpo, ed esse osservano con apprensione come veniva deposto, se con delicatezza e rispetto, come dire, senza fargli male. È vero che di fronte al Gesù morto, esse non hanno in mente le parole che egli aveva pronunciato in Galilea, come sarà loro ricordato alla tomba, ma cercano e vedono, o meglio, vogliono vedere solo il suo corpo, la sua presenza come è ora. In questo primo momento le donne si presentano come capaci di pazienza, di attesa. E nell’attesa, il futuro, prossimo o remoto che sia, prende forma nell’immaginazione e già abita il presente almeno nella mente e nello spirito dell’uomo. Sempre l’attesa prepara il futuro intervenendo nel presente, operando mutazioni già nel presente. E l’attesa delle donne è certamente già piena di ciò che immaginano di poter trovare alla tomba e anche questo spiega lo stupore e lo sconcerto di fronte a ciò che troveranno e a ciò che non troveranno.

Giunte al sepolcro ecco la sorpresa, l’inatteso. La barriera della pietra che chiudeva il sepolcro è stata rotolata via: la barriera che per loro sarebbe stato impossibile rimuovere diventa una soglia che può essere varcata. Ma entrate nel sepolcro non trovano il corpo di Gesù. Abbattuta la barriera del masso ecco una barriera ancor più insuperabile: l’assenza del corpo. E le donne capaci di attesa, di pazienza, forti della fortezza interiore che consente di sopportare il passare del tempo che le separava dal nuovo giorno, ora si trovano nell’incertezza, nella perplessità, nello sconcerto. Sono nell’aporia, dice Luca: si trovano in una strettezza, in angustie. Dove andare? Che fare? Che direzione prendere? L’amore che le ha spinte diviene ora paura, tristezza che le porta a tenere il volto fisso a terra. È stato tutto vano? L’attesa, il desiderio di ungere il corpo di Gesù, la pazienza, la venuta al mattino presto: tutto inutile? In altre parole, l’amore che le ha mosse è stato vano? Occorre lasciare debito spazio alle domande interiori che le donne si sono certamente poste prima di trovarsi di fronte a due uomini in vesti sfolgoranti che indicano loro un altro punto di vista da cui guardare l’evento. E l’altro punto di vista è in realtà la parola dei Gesù stesso. I due uomini si rivelano essere messaggeri che fanno memoria delle parole di Gesù: “Ricordatevi come vi parlò ancora quando era in Galilea dicendo: ‘Il Figlio dell’uomo deve essere consegnato nelle mani di uomini peccatori ed essere crocifisso e risorgere il terzo giorno” (Lc 24,7). Giunte per trovare il corpo di Gesù trovano le sue parole, fanno memoria delle sue parole e così la barriera dell’assenza diviene una soglia che consente l’accesso a una forma di comunione inedita. Dall’amore per il corpo di Gesù esse giungono alla memoria delle sue parole e dunque alla fede pasquale: ecco il percorso delle donne. Che diventano messaggere e apostole che portano l’annuncio agli Undici, agli uomini del gruppo dei discepoli, agli apostoli. Ed è qui che, solcata la soglia dell’attesa, attraversata la soglia dell’assenza del corpo di Gesù, le donne incontrano una barriera per loro insormontabile: l’incredulità del gruppo dei discepoli.

La donne tornano dal sepolcro e danno l’annuncio pasquale agli apostoli e agli altri discepoli e si sottolinea più volte che esse annunciarono, che dicevano queste cose, ma nonostante l’impeto, l’entusiasmo, la convinzione, la gioia con cui esse ripeterono l’evangelo, la buona notizia ricevuta, queste parole non fecero breccia nel cuore degli apostoli. “Queste parole parvero loro quasi un’allucinazione e non credevano loro” (Lc 24,11). Presso gli apostoli, là dove non avrebbero dovuto trovare ostacoli, là dove avrebbero dovuto trovare una soglia che consentiva il passaggio e la trasmissione del messaggio, ecco che le donne incontrano una barriera insormontabile. In quest’ultimo incontro, le donne si trovano nella situazione di essere non credute, fanno esperienza della loro irrilevanza, del loro non contare presso il gruppo di quei fratelli con cui pure proprio Luca dice che formavano un gruppo itinerante alla sequela di Gesù fin dalla Galilea (cf. Lc 8,1-3). Anche i due discepoli di Emmaus riferiranno come un episodio tutt’al più curioso ma non meritevole di maggiore attenzione il racconto delle donne che in effetti non riuscì a mutare il loro cuore e a fare presa su di loro. Essi diranno: “Alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti: si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto” (Lc 24,22-24). E per vedere Gesù sia i discepoli di Emmaus che gli undici a Gerusalemme dovranno passare attraverso la presa di coscienza del suo corpo. I due di Emmaus resteranno colpiti dal gesto della frazione del pane, dal mangiare insieme con Gesù, mentre gli Undici a Gerusalemme sentiranno Gesù che dice loro: “Guardate le mie mani e i miei piedi, toccatemi”, e lo vedranno mangiare insieme a loro. Non hanno creduto alle donne ma dovranno passare per la stessa via che le donne nel loro amore per Gesù avevano percorso.

Un percorso che trova nella comunità un suo punto decisivo. Alla comunità vanno le donne a dare l’annuncio, alla comunità ritornano i due di Emmaus portando il loro racconto, in comunità sono confermati e ricostituiti i discepoli che erano insieme a Gerusalemme. La comunità con le sue debolezze e negatività, la comunità con le sue divisioni, la comunità con le sue mancanze di fede e di fiducia, quindi la comunità nella sua realtà concreta, ma la comunità che è e rimane sempre luogo di possibile esperienza di resurrezione, di perdono, di riconciliazione, ovvero di trasformazione delle nostre barriere in soglie da varcare in vista di un incontro. A meno che non divenga luogo in cui le soglie vengono fortificate fino a divenire barriere insormontabili.

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