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R. Virgili Giurare sul Vangelo: Non giurerete affatto

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GIURARE SUL VANGELO 
Non giurerete affatto

Quella di fare giuramenti è una tradizione antica e mai morta che tocca molti ambiti della vita umana e delle società, da quello affettivo a quello istituzionale, da quello politico a quello militare.
Ma forse non tutti coloro che giurano sulla Bibbia sanno del giudizio affatto negativo che essa esprime in merito, sia nell'Antico, sia nel Nuovo Testamento. E ciò a ragione della difficile eventualità di essergli fedeli. "È meglio non fare voti che farli e poi non mantenerli" dice la sapienza divina (Qoèlet 5,4), considerando che il giuramento serva a riempire una mancanza di fiducia che chi giura attribuisce, implicitamente, a sé stesso. Non credete a quello che dico? Bene, allora lo giuro sulla parola di uno più affidabile di me, ciò di Dio. Ma ciò equivale a strumentalizzare Dio e la sua Parola che la Bibbia custodisce. Quasi come a ricattarlo, ad estorcergli un indebito favore. Per questo proprio il Vangelo torna sul giuramento e porta la parola-precetto di Gesù: "Avete udito che fu detto agli antichi: Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio; né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi (...) non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero uno solo dei tuoi capelli". La preoccupazione di Gesù è quella che nessuno violi la signoria -affidabile! - di Dio sulle cose del mondo e ci si guardi dalle usurpazioni che gli uomini possano fare del Suo Nome. "Il vostro linguaggio sia: Sì, se è sì e No, se è no; il di più viene dal Maligno" (Matteo 5,33-37). Gesù, insomma, sbugiarda quelli che giurano sui simboli divini e li mette in guardia da quel "Maligno" che potrebbe ingannarli. Ma un altro argomento è, forse, ancor più urgente da invocare quando si tratta di giuramenti fatti sul Vangelo. Occorre, almeno, valutare una qualche affinità, se non proprio la coerenza, tra le parole proclamate da chi giura e quelle contenute nel volume che si impugna. Nel Vangelo è scritto: "amerai il tuo prossimo come te stesso" senza distinzione di pelle, di nazione, di stato civile e sociale; è scritto: "amerai il tuo nemico (...) se amate soltanto i vostri amici, che merito ne avrete? Non fanno così anche i pagani?", rifiutando in assoluto la violenza nel famoso adagio: "A chi ti colpisce su una guancia, tu porgi anche l'altra". Dante definisce l'evangelista Luca lo "scriba mansuetudinis Christi", quello che accende una luce di pace, di amore, di giustizia, fraternità, misericordia universale, verso i poveri, le donne, gli stranieri, gli scartati, i peccatori e l'umanità intera, sulle labbra del Maestro Gesù, figlio di Maria di Nazareth. Un "figlio dell'uomo" privo di privilegi di identità, di paternità, o di cittadinanza. Essendo, infatti, figlio di Dio, non aveva alcun "diritto" sulla terra...tant'è vero che neppure per nascere gli fu trovato un posto. Gli restava soltanto il grido dell'orfano...
Quando si giura sul Vangelo si deve pensare a quante persone si potrebbero ferire, non solo i cristiani, ma anche tanti diseredati del mondo che potrebbero sentirsi espropriati dell'unica carezza. E si dovrebbe avere conoscenza e rispetto per chi, questa carezza l'ha portata sino a qui, in Occidente e in questo nord, dove noi viviamo. Fu un uomo che arrivò dai mari del Sud con una barca che fece naufragio sull'isola di Malta. Era un cittadino romano ed un giudeo della diaspora, un uomo giusto e un impostore agli arresti, allo stesso tempo. Si chiamava Paolo e portò quel libro a Roma. "Egli è la nostra pace - v'era scritto - ha abbattuto il muro tra i vicini e i lontani"; "i re delle nazioni le dominano, ma tra voi il più grande sia colui che serve", v'era scritto. Giurare, dunque, su quello stesso libro, senza rischiare di gettarvi o di riceverne vergogna, è molto difficile. Conviene dar retta a Gesù e non giurare affatto.
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