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Commenti Vangelo 9 aprile 2017 Palme e Passione

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Commento di Paola Radif
(uscito su Il Cittadino del 9 aprile 2017)

DOMENICA DELLE PALME
Vangelo: Mt 26,14-75; 27, 1-66


Facendo meditare sulla Passione di Gesù proprio nella Domenica delle Palme la Chiesa sembra avvertire che il trionfo di questo giorno fu davvero tanto fragile e passeggero. Gesù stesso, che non era certamente alla ricerca di ambiziosi riconoscimenti, non dovette farsi illusioni perché già si stagliava al suo orizzonte la prova estrema con cui accettava di “farsi peccato” per gli uomini: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore” ( 2 Cor 5,21).
Tuttavia, le chiese affollate, le palme e i rami di ulivo ci uniscono come popolo dei credenti e invitano a rendere onore a Gesù, facendoci col pensiero contemporanei a lui, Uomo e Dio, prima alle soglie del Cenacolo, poi del Getsemani e infine del Calvario.
La lettura del Passio, oggi, nella versione di Matteo ci aiuta a mettere i nostri piedi su quelle pietre che Cristo calcherà nei prossimi giorni e ci induce quasi ad aspettarlo, come per dirgli: “Non possiamo fare altro, come tua Madre in quei giorni drammatici, ma siamo qui e ti vogliamo accompagnare”. Diventeremo per un momento forse Pietro, forse il Cireneo, forse qualcuna delle donne di Gerusalemme, ma qui non si tratta di recitare una parte, qui si tratta di fare nostra l'esperienza della fede, interiorizzarla perché sia guida nella quotidianità.
Il momento fondamentale dell'istituzione dell'Eucaristia e del sacerdozio, che rivivremo appieno il Giovedì Santo, viene in questo giorno delle Palme come offuscato dall'angoscia del Getsemani dove Gesù invoca il Padre, gli chiede aiuto e suoi muti compagni sono solo i silenziosi ulivi nel buio di una notte in cui gli stessi discepoli si addormentano. Giuda porta a termine il suo tradimento, Gesù è catturato, interrogato, tradito di nuovo, questa volta da Pietro. Questi tradimenti ci interpellano e ci mostrano come può essere facile, pur sentendosi vicinissimi a Dio, cadere preda della tentazione, da cui la preghiera sincera e costante può salvare.
Il giudizio di Pilato, tra molte incertezze, si compie. Le autorità umane sono fallibili: quanti errori giudiziari possono verificarsi, anche ai nostri giorni! Ma qui c'è una malizia di fondo, un'ingiustizia evidente, come sappiamo dal vangelo, per ridurre al silenzio un difensore di tante libertà soffocate. Il coraggio dei discepoli ora è latente, sommerso: solo la Pentecoste potrà ravvivarlo facendo uscire allo scoperto chi ora si nasconde.
Gesù è ormai incamminato sulla via del Calvario, o meglio spinto, perché non sta in piedi per le percosse, le sofferenze che gli hanno inflitto. L'innocente che non reagisce fa rabbia e attira ancora di più su di sé la crudeltà degli aguzzini. Sembra impossibile una mitezza del genere, non una parola, non una minaccia. Negli angoli di quella via dolorosa che ancora oggi possiamo percorrere tra le voci e gli odori della Gerusalemme del nostro secolo, ci siamo anche noi, cristiani del terzo millennio, che vogliamo seguire quel Figlio di Dio fatto uomo ma dolorosamente constatiamo come il mondo continui a “gemere nelle doglie del parto” (cfr. Rom 8,22), ora come allora.
Ingiustizie, sofferenze, violenze, guerre, crudeltà di ogni genere si moltiplicano, eppure nella fede sappiamo che possono essere salutari, possono portare alla nascita di un mondo nuovo, grazie alla preghiera e all'offerta di sé di tanti credenti: poco lievito è sufficiente, come sappiamo dal vangelo.
La Via Crucis in tutte le sue dolorose tappe su cui nelle nostre chiese meditiamo nel tempo di Quaresima non si conclude con la morte in croce: già si annuncia la resurrezione, è questione di giorni e la vita trionferà. Il dualismo morte-vita è presente nell'esistenza di tutti: è parte della nostra storia di uomini, ma c'è, anche nel dramma volontariamente vissuto da Gesù come Redentore, una luce che all'orizzonte si rivela ad ogni cristiano per dirgli che proprio sulla parola di quell'uomo sfigurato e morente si realizzerà la salvezza per chi in lui ha creduto e sperato.

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