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Rosanna Virgili La dolce vergine

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La preghiera della Salve Regina avvolge la figura di Maria di un manto di dolcezza: dall’inizio alla fine Ella appare come un luogo, un volto, un corpo di soavità. Tale è il sentire di chi – nella preghiera - pensa a Lei: una donna speciale e, innanzitutto, cara ed amabile. Perché? Che ha fatto Maria di Nazareth per meritare questo particolare amore? Da quale scena evangelica si effonde la sua celebrata dolcezza? E da dove provengono gli altri aggettivi e ruoli che la Salve Regina le attribuisce? “Regina”, “avvocata”, “vita”, “speranza”, “vergine” e “clemente” “madre di misericordia”?.

La fede popolare celebra Maria con il Rosario, le Litanie e tante altre formule di supplica, di lode e di ringraziamento. Non c’è atto liturgico cattolico che non contenga o non si concluda con un’invocazione a Maria. Segno che la vita dei credenti sperimenti la continua presenza di Lei in ogni sua piega, soprattutto nei momenti di difficoltà e di bisogno. Maria è una compagna inseparabile dall’esistenza tutta del cristiano. O, almeno, lo è stata per secoli. E oggi?

Maria Maestra

Vorremmo guardare a Maria come a una maestra, qualcuno di cui frequentare la scuola. Vorremmo imparare da lei. In quale “Istituto” possiamo recarci per prendere le sue lezioni? Di quale Accademia Lei è Docente? A dire il vero, sono così poche le sue parole che sarebbe impensabile riempirvi dei manuali di mariologia! Non era, certo, un Dottore della Legge. Non aveva alcuna “autorità” di insegnamento, né di interpretazione della Parola di Dio rivelata. La ragazza di Galilea era una semplice candidata alla prassi ordinaria di ogni donna del suo tempo, nella sua città, vale a dire quella di essere moglie e madre. Di servire la sua famiglia e collaborare alla sussistenza dei suoi membri. Avrebbe dovuto essere “sottomessa” a suo marito in molti aspetti della vita familiare, poiché dalla moglie ogni uomo auspicava di ottenere un’eredità di figli che avrebbero reso immortale il suo nome e custodito le sue proprietà.
Tutto ciò ogni donna lo imparava da sua madre e lo avrebbe insegnato a sua figlia. Quello di Maria sarebbe stato, pertanto, un “magistero” affatto ordinario, per assolvere al quale non occorreva frequentare le Università. Ma qualcosa di straordinario si innestò nella vita di questa semplice ed unica giovane donna, trasformandola nella Maestra di ogni maestro.

Salve, regina!

Sorprendentemente il primo titolo che viene elevato a Maria è quello di “regina”. Qualunque lettore di Vangeli resterebbe a bocca aperta dinanzi a un simile saluto rivolto alla fidanzata di Giuseppe. Ella appare, infatti, ben diversa da una regina! Innanzitutto per la città dove abitava che non era certo una capitale. Nazareth era un villaggio pressoché sconosciuto e mai nominato nei documenti antichi, al di là dei Vangeli. Escludeva, quindi, la presenza di una reggia, dove potesse sedere una regina. Ma questa non è che la prima di tante considerazioni da fare su questo titolo.
Stando alle notizie che i Vangeli danno di Maria, ella era una ragazza senza alcun blasone particolare. A differenza di sua cugina Elisabetta, infatti, non era una “discendente di Aronne” (cf Lc 1,5), una famiglia di grande rilievo in Israele, essendo quella dei sacerdoti leviti. Di Maria si dice soltanto che fosse fidanzata ad un uomo della “stirpe di David” che era, sì, una stirpe regale (Lc 1,27), ma di cui non restava traccia, in quel tempo, in Palestina. Nessun discendente di David sedeva, infatti, sull’antico trono messianico, conquistato da tempo dall’Impero romano.
E se anche volessimo considerare la condizione di vita di Maria, dopo la nascita di Gesù, in nessun modo potremmo trovare segni di regalità. Se la guardiamo con occhi di umana verità, quella donna di Galilea, dopo aver concepito Gesù, dovette sperare nella fede e l’amore del suo Giuseppe, per non restare una ragazza-madre, o, peggio, per non essere esposta alla pubblica lapidazione, sotto accusa di adulterio.
Nella sua vicenda di maternità, poi, si trovò a partorire suo figlio non certo come fanno le regine, tra trine e merletti, con mille inservienti ed assistenti, protette e coccolate dalle lussuose cure di un Palazzo intero! Ma come le più infelici e disgraziate tra le donne più misere del mondo: dentro una grotta dove si ritiravano gli animali di notte, al freddo e al gelo – come i cristiani ricordano ancora nel più toccante canto di Natale: “Tu scendi dalle stelle”. Dalle stelle alle stalle, appunto. Neppure un’ostetrica per aiutarla, una madre, un’amica, una conoscente, ma solo Giuseppe, padre clemente di un figlio adottivo, perché quel figlio che nasceva all’addiaccio – umanamente parlando – era solo di lei… Altro che regina, dunque. Maria è tutt’altro che un esempio di donna al potere, al contrario, è una donna scartata e costretta ai margini della società, di cui la “città” non si cura affatto.
E volendo completare il quadro della sua esistenza terrena, altri due brevi racconti evangelici ci mostrano la condizione di Maria come madre. Il primo la vede sulle tracce di suo figlio che, ormai adulto, se n’era andato da casa e aveva formato un gruppo di amici attorno a sé. La vediamo in cammino sulle strade del cuore della madre che brama rivedere suo figlio: “Ecco tua madre e i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano” dice la gente a Gesù (Mc 3,32). Mentre il comandamento chiedeva ad ogni figlio di “onorare il padre e la madre”, vediamo la condizione di questa madre umiliata: non certo onorata dal figlio, ma costretta a cercarlo, ad uscire di casa, a seguire le vie del suo abbandono. E sì che le donne, a quei tempi, stavano per lo più in ambiente domestico, mentre agli uomini era riservata la sfera pubblica della vita.
E quando riesce a trovarlo, si vede rispondere proprio da lui: “Chi è mi madre e chi sono i miei fratelli”? (Mc 3,33). Chissà quale sfregio sul cuore avranno causato quelle parole.. a lei che per quel figlio aveva rinunciato ad essere una moglie “normale”; lei che aveva accettato di vivere soltanto lo statuto di madre, si vedeva rifiutata da quel figlio per cui aveva dato tutta sé stessa. E neppure questo era ancora abbastanza! Maria dovette assistere persino alla morte di quel figlio adorato e unico, stupendo fiore del suo ventre, condannato a morte nel fiore degli anni. Al pari di un maledetto, sul legno della vergogna.
Una regina viene adorata da suo marito, perché quegli riceve da lei la sua preziosa posterità, i figli che daranno lustro e futuro al suo casato. Maria mette al mondo, invece, un figlio di Dio, cioè un figlio di nessuno sulla terra… che ha bisogno di un uomo che lo adotti e che si prenda gratuitamente cura di loro.
Una regina è “onorata” dai suoi figli che le sono devoti e riconoscenti per sempre e non le fanno mancare cure e attenzioni sempre maggiori, col passare degli anni. Maria deve, invece, “cercare”, suo figlio, come una migrante in un continuo viaggio, per raggiungerlo sotto la croce ed essere consegnata ad un “figlio” nuovo, il discepolo amato da Gesù (cf Gv 19,26).
Seguire una maestra del genere non sarà facile, così come capire a quale tipo di regina si rivolga la supplica quando si prega la Salve Regina. Non sarà facile, ma sarà possibile!

Alleata di Dio

Per capire la “regalità” di Maria occorre passare per tutte le pagine dei Vangeli e conoscere suo Figlio Gesù. Attraverso di Lui potremo assaporare la “pasta” della nostra Maestra. C’è un momento in cui Gesù parla con i suoi apostoli della regalità e dell’arte del governare; in cui insegna loro come Egli intenda il potere del re. Lo fa con poche, ma evidenti parole, prospettando un rovesciamento geometrico e dicendo: “i re delle nazioni stanno sopra di esse (katakurieuo “domino”) (…) ma tra voi non è così: chi vuole diventare grande (megas: maggiore/titolare/capo), sia colui che sta in basso (diakonos: servo, colui che lava i piedi, ecc.); chi vuol essere il primo tra voi (protos: il re/il primo cittadino/, il sindaco/ il capo di una comunità) sia il servo di tutti (doulos: servo/alleato) (Mc 10,42-44). E aggiunge: “Io sono tra voi come un diacono” (cf Lc 22,27).
Ecco, allora, dove troviamo la via per capire la “regina” madre: il suo essere la doule, la “serva”, la diacona, come recita la sua risposta all’Angelo dell’annuncio: “Ecco la serva del Signore”: il Signore è il Re ed io sono la sua Alleata, la Sua Sposa e madre di Suo figlio. Come il Figlio è re/servo, così Maria è regina/serva, cioè regina della salvezza di tutta l’umanità, a partire dai “poveri”. Del resto Maria i “poveri” li conosce bene per poterne e potergli parlare: vive la condizione delle donne più povere del mondo, come abbiamo ben visto. E da lì, da quell’umanità scartata, da quelle periferie esistenziali, sociali, economiche, culturali, perfino religiose, può cantare la sua “potenza” ed autorevolezza di Regina.

Madre di misericordia

Nel Magnificat Maria stessa indica il modo affatto speciale in cui si realizza la sua regalità. Tutto accade per la gioia e nella gioia: ciò che è impossibile – nella realtà e nel pensiero umano – diventa possibile, anzi è già diventato realtà! “L’anima mia dilata in sé il corpo di Dio; la mia gola canta l’esultanza nel mio Dio e mio Salvatore!” (Lc 1,46b-47). Sono le note che aprono il canto della gioia: “perché ha guardato la povertà della sua serva”, perché si è fatto servo per amore di lei e per far lievitare il suo grembo, unica teca colma di ricchezza di una piccola ragazza di Galilea.
“Nulla è impossibile a Dio”, le aveva sussurrato l’Angelo Gabriele e lei ci aveva creduto (cf Lc 1,37). Il frutto della sua fede è il miracolo dell’impossibile: la vittoria dei poveri! “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote” (Lc 1,52-53). La gioia di Maria trabocca nel suo canto che è annuncio di dignità e riscatto per i poveri. Lei che sa la loro condizione, perché è una di loro; lei che conosce la gioia dell’affamato al dono del pane, dell’assetato all’acqua che esce gratuita dalla roccia (cf Es 17,6-7). Le parole del Magnificat cantano la libertà per tutti gli oppressi, nella giustizia di Dio che rovescia le loro sorti e fa della sua alleata, la regina del mondo, l’Altare della Pace.
“Si è ricordato della Sua misericordia” conclude l’inno del Magnificat. Maria celebra l’essenza dell’Amore di Dio che è viscere di vita, lievito di figli. Lo conosce nelle sue stesse viscere, nelle profondità vitali del suo grembo, dove quell’Amore si è accampato facendo di lei la Santa Sua dimora sulla terra. Un grembo casto, vergine, puro, vale a dire completamente colmo dell’assoluto Amato.

Avvocata nostra

Ed a quel grembo, a quella sua “matrice”, il cristiano si rivolge; come ieri, anche oggi, bussa chiedendo riparo, perdono e rinascita. Dentro il seno di Maria ognuno cerca una culla calda dove poter ritornare bambino! “Se non ritornerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli” ha detto Gesù. “Ma come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre?” chiederebbe Nicodemo, un “maestro in Israele” (cf Gv 3,4.10). Lei è la Maestra e la Madre: nel suo grembo di Amore ogni cristiano troverà acque rigeneranti, parole di vita e di speranza; ognuno vi entrerà coi suoi tramonti e ne uscirà con imprevedibili aurore.
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