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Rosanna Virgili Il martirio cristiano, non sacrificio ma lieto messaggio

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Avvenire 30 luglio 2016
Rosanna Virgili

Martiri. Dal greco màrtys: 'testimone', colui che annuncia, attesta e grida la gioia della Resurrezione. Colui che canta la vittoria della vita sulla morte, dell’amore sull’odio, della giustizia sull’arbitrio. Il grande mattino del martirio fu Stefano, umile diacono delle mense negli Atti degli Apostoli, cui Luca affida la 'corona' (stèfanos) della testimonianza.
«Signore, non imputare loro questo peccato», pregava per i suoi assassini (At 7,60), eco scandalosa della stessa voce di Gesù, nell’ultimo respiro. In un discorso-memoriale di tutta la storia biblica, Stefano narra del sodalizio di Dio con il mondo, lungo un tempo di cura e di Amore che, dal principio, arriva a Gesù Cristo e continua a crescere nell’oggi. Per questa sua preziosa testimonianza, Stefano si guadagnò il titolo di 'protomartire' della Chiesa, un autentico pilastro della stessa. Egli la diede con tale forza e passione, che risultò odiosa a molti, i quali lo 'coronarono' di sassate e di sangue. Martirio è, dunque, slancio di annuncio evangelico, splendore di una parola che è lieto messaggio per i poveri, gli oppressi e i prigionieri e che nessuno può spegnere neppure con lo sfiguramento, la tortura e il disprezzo.

Per questo è facile scambiare il martirio con il sacrificio, benché sia un grave equivoco. Mentre il martirio, infatti, segna la trasparenza della vita cristiana, la fede biblica non vuole il sacrificio, anzi si esprime in mille casi contro di esso. Lo ripete Gesù nel Vangelo di Matteo: «Andate ad imparare cosa vuol dire: voglio la misericordia e non il sacrificio» (Mt 9,13; 12,7), facendo eco alle parole dei profeti, Osea (6,6) e Samuele (1Sam 15,22). Dio impedì che Abramo sacrificasse il figlio Isacco (Gen 22,12), così come Geremia denunciò con violenza la pratica orrenda del sacrificio dei bambini in Gerusalemme, additandola come causa della rovina della Città. «Tu non gradisci il sacrificio e se offro olocausti non li accetti - è il Miserere del re David ma un cuore docile e affranto, Tu, o Dio, non disprezzi» (Sal 51,18-19). Quello che conta è il cuore aperto a Dio e al prossimo tuo. Il sacrificio non serve per la salvezza, perché la salvezza è Dono del Signore.

Non senza aver riconosciuto, confessato e ripudiato enormi errori commessi in passato, la Chiesa cattolica, insieme alle altre Chiese cristiane, applica, ormai da tempo, una lettura intelligente e opportuna della Scrittura, inevitabile per una comprensione del suo autentico messaggio spirituale e teologico. Il Concilio Vaticano II, nella Dei Verbum, afferma con chiarezza l’inammissibilità del fondamentalismo, vale a dire di quell’approccio alle Scritture che trasformi la lettera in dottrina, automaticamente e senza mediazione razionale e storica. Per cui appellarsi a quei testi in cui si chiede e si offre il sacrificio, per ascrivere a Dio una volontà di morte è operazione disonesta da parte di chiunque la usi, oggi, riguardo al rapporto dei cristiani con la Bibbia. I popoli antichi ricorrevano ai sacrifici umani pensando di rabbonire, a un prezzo così grande, l’ira divina, ancorché di guadagnarsi la sua benevolenza. Pur di evitare una simile strage, Dio stesso, nella Bibbia, chiede di sostituire le creature umane con quelle animali, nell’offerta dei sacrifici. Qualcosa di più accadrà con Gesù. Il Figlio dell’uomo non vuole 'sacrificarsi' e non vive la Croce come un sacrificio, ma come una consegna di sé nella ragione misteriosa dell’Amore. «Padre, se puoi, passa da me questo calice» supplica con forza. La Lettera agli Ebrei chiarirà che il 'patire' del Signore, chiude per sempre la crudele spirale dei sacrifici, ponendo fine, altresì, anche alle scandalose ecatombi di animali.

Nessun martirio eroico, dunque, nella fede cristiana, niente disprezzo del corpo e compiacimento della sua 'sacra' distruzione. Il 'sacrificio' della Croce è, piuttosto, denuncia della violenza e dell’ipocrisia umane, della banalità del male e dello scacco del diritto giudaico e romano, complici nel condannare a morte un innocente. La Croce è martirio del male che può uscire dalle mani dell’uomo e dell’Amore che lo sfida e lo vince. La Croce è testimonianza di un corpo che si spende totalmente per il bene dell’umanità, perché ognuno, povero o ricco, sano o malato, giusto o peccatore, abbia riconosciuta e riscattata la propria dignità, la libertà, la cittadinanza sul suolo terrestre. L’amicizia e la felicità. La Croce non è certo un inno alla morte, ma, al contrario, l’estremo grido, il più forte appello, la sublime rivelazione della sete e della fede nella Vita.

Figli. Padre Jacques Hamel è stato barbaramente ucciso, e non ha voluto inginocchiarsi davanti al suo carnefice. Un gesto che fa tremare il cuore nel ricordo di tanti martiri della prima ora che non si piegavano alla divinità dell’imperatore, il quale pretendeva, a sua volta, una genuflessione. Il cristiano non si inchina a nessun potente della terra, non vende la sua dignità a un vile e vischioso rapporto di scambi, di favori, di affari, di bugie, di interessi negoziati nell’ombra, a danno dei più. Il Vangelo ripudia tutto ciò e il credente inorridisce e dice 'no': questo è il suo martirio. Gesù è il primo a darne l’esempio, rifiutando di assumere tutti i Regni del mondo, pur di non inchinarsi a chi glieli darebbe sottobanco. Dov’è lo Spirito del Signore c’è libertà.

Occorre che tutti, credenti e non credenti, comprendano cosa sia veramente il 'martirio' per i cristiani. Che non si banalizzino i contenuti, né si confondano, accomunandole genericamente, tutte le religioni, specialmente quelle del Libro, come epifenomeni di barbarie, ugualmente soggetti di odium generis humani, invece che di bersaglio in odium fidei. Sulle miti membra di un anziano prete si accanisce la mano di un diciannovenne nato nello stesso Paese e cresciuto all’ombra dello stesso campanile. Di fatto è un fratricidio, perché anche il ragazzo musulmano è un figlio dell’Europa. Da bambino ha frequentato le scuole francesi, ha festeggiato il 14 Luglio e sa della Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo. Ovvio pensare che ci sia un grande burattinaio a tirare i fili delle sue mani armate di coltello, ma tra i registi occulti e cinici delle sue azioni telecomandate e la sua identità di cittadino di Francia, c’è un vuoto da riempire. Una coscienza da interpellare. Domande da farsi e da fargli. Oltre ai diritti individuali e all’essere uguali di fronte alla Legge, quali valori di condivisione comunica davvero l’Europa di oggi? Quali legami? Quali responsabilità nella costruzione di un mondo comune e casa per tutti? Quale rispetto e affetto per gli altri? Quale fraternité? Dove mette radici la vita di ciascuno? In quale Sitz im Leben, in quale contesto di vita, dentro quale narrazione, crescono i bambini delle periferie?

Vivere civilmente gli uni accanto agli altri, ma ciascuno come un cane sciolto, 'liberamente' abbandonato a se stesso, è molto meno di quanto tutti noi ci potremmo aspettare dall’Europa. Una Comunità a cui proprio i martiri cristiani e gli antichi monaci benedettini diedero il sogno di sé, ma che spesso è, oggi, smarrita e incoerente. Una cultura che rifiuta di dare nome alle proprie radici cristiane – senza riflettere seriamente sui valori in cui quelle si siano incarnate – ma che, poi, le reclama per impugnarle come un’arma, non appena si senta minacciata dall’'estraneo tra noi'. Dalle sacche di un vuoto di identità, di lealtà, di valori e di vocazioni, l’Europa partorisce frane psicologiche, politiche, sociali. Tra i primi a esserne travolti ci sono quei figli che si consacrano alla morte, violando la sacra vita del prossimo e spegnendo, forse incoscientemente, quel paese «bello, spazioso e dolce» che avrebbero voluto e, insieme, anche potuto amare, costruire, abitare. A quel vuoto feroce, a questo pieno di odio e dolore, non ci possiamo consegnare.
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