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Piero Stefani Gli angoli nascosti della Bibbia

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Chi ha familiarità con i libri di Paolo De Benedetti leggerà con una certa sorpresa questo suo ultimo testo: Gli angoli nascosti della Bibbia. Uomini, donne e altre creature (Morcelliana, Brescia 2015). Invero ultimo in relazione alla pubblicazione, ma non in riferimento alla scrittura (eccezion fatta per la breve Premessa). Siamo infatti di fronte a una raccolta di scritti risalenti agli anni Sessanta e agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso. I contributi erano destinati a una collocazione che inseriva, alla lettera, la Bibbia all’interno della letteratura universale. I testi infatti provengono dall’VIII volume del Dizionario letterario delle opere e dei personaggi di tutti i tempi e di tutte le letterature (Bompiani, Milano 1981). Nel complesso si tratta di 63 figure bibliche; tra esse soltanto due, Anania e Zaccaria (padre di Giovanni Battista), derivano dal Nuovo Testamento.


Rispetto alla versione originaria la presente edizione introduce solo lievi modifiche redazionali, mentre conserva la successione semplicemente alfabetica dei lemmi. Nell’articolazione del libro non vi è perciò alcuna traccia di una disposizione che richiami la “storia sacra”. Siamo, quindi, di fronte a una serie di figure autonome. Appunto voci di un dizionario poste una dopo l’altra in base al più profano degli espedienti: l’ordine alfabetico. In realtà, a livello più profondo, troveremo rimandi alla storia biblica assunta come orizzonte complessivo; tuttavia non saranno quelli attesi da un lettore abituato a confrontarsi con le fasi più recenti del pensiero di De Benedetti.

Il contesto originario ha lasciato tracce evidenti nell’attenzione riservata alla componente letteraria. L’affermazione comporta più risvolti. Innanzitutto i personaggi sono presentati come figure prese così come appaiono nel testo biblico. Essi, dunque, non sono posti sotto alcuna lente storico-critica. Per limitarci a qualche esempio,

Geremia è considerato senza difficoltà autore delle Lamentazioni (p. 51), Daniele è presentato come un personaggio vissuto nel VI secolo a. C. (p. 37) e Giovanni apostolo è indicato senza problemi autore dell’Apocalisse (p. 39). La componente letteraria è ben attestata anche dalla qualità di Scrittura di De Benedetti. Il testo risulta ricco di immagini, metafore e modalità espressive dotate di scarsi riscontri nelle successive e più conosciute opere dell’autore. Per non lasciare l’affermazione troppo nel vago, la sosteniamo con qualche esemplificazione scelta a campione qua e là: «Daniele si stacca da tutti i profeti etici d’Israele, e dalla Mesopotamia porge la mano a quel solo pari a lui, all’apostolo Giovanni uscito illeso dal martirio a profetare un altro esilio, come due mistici galli che si chiamano dalle ombre del mondo» (p. 39). Ancora: «lo spirito greco, che con Saffo aveva detto “è bello ciò che a ognuno è caro”, si incarna in Antioco a rapire con i coltelli, le graticole e le fruste ogni cosa più cara a Israele, la Legge e l’Uno» (p. 83); «la corda scarlatta legata alla finestra di Raab è il segno che i soldati di Giosuè lì fermino la strage, come l’angelo dei primogeniti all’uscita d’Egitto e il demonio del Giudizio nell’uscita di vita, quando il corpo si frangerà come le mura di Gerico e l’anima, come Raab, andrà libera.» (p. 116). «Sofonia fu di stirpe regia e profetizzò in Giuda: l’impeto della sua voce ristagna nei tre capitoli biblici come una vela caduta, quando non vi spira più la vita» (p. 135).

Gli esempi trascritti sono un spia di diversità anche rispetto al successivo mondo spirituale di De Benedetti. Le voci dedicate a questi personaggi biblici rivelano una sicura attenzione alla lingua ebraica, ma nel contempo mettono in luce anche la mancanza di ogni riferimento a un’ermeneutica di tipo rabbinico a cui è normalmente associato il nome dell’autore. In altre parole, nel libro la lingua ebraica gioca un suo ruolo, mentre non ha alcuna voce in capitolo l’ermeneutica rabbinica. Anzi su questo fronte si coglie che i rimandi e le allusioni bibliche sono piuttosto dominati dal tradizionale approccio ai testi in base al quale le figure anticotestamentarie rappresentano tappe di una cammino destinato a culminare in Gesù Cristo. Su questo crinale la matrice letteraria lascia perciò il posto a quella teologica. Il senso della “storia sacra”, assente nella facciata, gioca dunque un suo ruolo nelle stanze interne. Così a proposito di Anna, madre di Samuele, si afferma che «c’è in lei come un’eco lontana della futura Vergine madre» (p. 21) e poco dopo si aggiunge: «Anna come Elisabetta, e l’altra Anna madre di Maria, e Maria su tutte, generano nel grembo dello Spirito, posano i loro infanti come gradi della scala di Giacobbe, parole della Scrittura. Esse e i loro nati non sono che orme del Verbo» (pp. 21-22). «Gedeone fu il sesto giudice in Israele. La sua voce ha un lontano sapore di Annunciazione» (p. 48); «I cinque fratelli Maccabei sono gli anelli più forti della catena che lega il giorno di Abramo al giorno di Cristo: essi raccolsero la fiammella fumigante accesa da Abramo, ne fecero fiaccola e fuoco» (p. 79). Sempre a proposito dei Maccabei: «Non c’era più che una speranza, una sola, ma divina: il Messia. L’attesa di Adamo era consumata mancavano solo 135 anni all’Evangelo» (p. 82). «E il profeta regio deve morire. “Nathan andò alla sua casa” nell’ombra dei simboli; e Giovanni li ravvivò di sangue. Sulla soglia della Chiesa la via di Nathan è finita; non più re né profeti, Nathan, Elia o Giovanni poiché tutto è compiuto» (p. 105).

A questo De Benedetti “cattolico” vanno ascritte anche espressioni che, pur non rientrando nella categoria del compimento di antichi annunci, denotano ugualmente una forma mentis decisamente cristiana: «Davanti al cadavere [di Anania], Pietro è la voce di tutta la Chiesa, che rigetta fuor di sé la virtù ipocrita e, poiché la Chiesa è vita, la getta alla morte» (p. 19). Nella voce dedicata a Baruch si legge: «Ed eccolo ancora tra i salici di Babilonia, a portare la parola immortale ai morti in spirito e ai prigionieri, come i diaconi cristiani che portavano la carne divina ai condannati del circo» (p. 31). A proposito di Jetro « “E Aronne e tutti i seniori di Israele vennero a mangiare con lui dinanzi a Dio”, poiché compresero che Dio era là, con quell’incirconciso che “credeva senza aver veduto”» (pp. 69-70).

In quanto abbiamo scritto finora è contenuta quanto meno un’imprecisione. Nel libro vi è infatti un altro tratto nuovo (anche perché esso non poteva essere contemplato dalla collocazione originaria): il titolo. A questo proposito sorge una domanda: parlare di angoli nascosti della Bibbia, equivale a trovare una formulazione brillante per indicare coloro che, in modo più piatto, si sarebbero definiti personaggi minori? Ciò può essere vero nella maggior parte dei casi; anche se non è agevole far rientrare in questo novero personaggi come Daniele, Esdra, Geremia o Salomone. Tuttavia sembra che l’espressione «angoli nascosti» qui sia caricata di un significato ermeneutico maggiore. Verso tale ipotesi fa propendere il fatto che nella Prefazione l’autore evoca l’ermeneutica del settantunesimo senso: «Ogni passo biblico attende da ciascun lettore la sua, individuale, interpretazione, oltre le settanta teorizzate dalla tradizione rabbinica, rese possibili e trasmesse dal canone (esso stesso plurale), dalla Scrittura (nel suo interno richiamarsi da ogni parte) e dalla comunità» (pp. 5-6). Per un lettore a conoscenza di altre opere di De Benedetti il settantunesimo senso andrebbe in questo caso qualificato con l’aggettivo «cattolico», il che rappresenta una tappa significativa per la conoscenza della formazione spirituale e culturale di chi è stato, ed è, per molti guida preziosa per comprendere tanto il mondo del giudaismo rabbinico quanto l’orizzonte del dialogo ebraico-cristiano.




[1] Anticipo la recensione di prossima uscita sulla rivista «Teologia».
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