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Commento letture 26 agosto 2012 XXI to Manicardi

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domenica 26 agosto 2012
Anno B
Gs 24,1-2a.15-17.18b; Sal 33; Ef 5,21-32; Gv 6,60-69



La scelta netta ed esigente che il servire Dio e il seguire Cristo richiede; l’appartenenza al Signore da parte dei credenti così come Cristo, “il Santo di Dio” (Gv 6,69), appartiene a Dio; la difficile perseveranza esigita dalla vita di fede; il senso del promettere: questi alcuni temi che traversano in unità la prima lettura e il vangelo.

Nel contesto del rinnovamento dell’alleanza, Giosué mette i figli d’Israele di fronte alle difficoltà che il servire Dio comporta: Giosué sembra scoraggiare, invece di attirare. L’eventuale scelta di servire il Signore avrà ripercussioni sul futuro, dunque occorre pensarci bene, misurare le forze, conoscere le esigenze e le difficoltà che essa comporta. Nessuna strategia di edulcorazione per attirare qualche adepto: anzi, annunciare le esigenze e le durezze della vita di fede! La chiarezza è liberante, oltreché onesta. Inoltre la messa in guardia sollecita la libertà e la responsabilità del popolo. A quel punto la volontà di servire Dio si manifesta in una promessa: il popolo promette di servire Dio. Promettere è sempre promettersi, impegnare il proprio futuro in una storia di fedeltà e perseveranza. Promettere fedeltà al Signore significa obbedire, e obbedire è sempre fare della propria libertà un’offerta.
Nel vangelo il discorso in cui Gesù si rivela pane di vita disceso dal cielo che deve essere mangiato perché i credenti abbiano in se stessi la vita, provoca una reazione di paura e di abbandono da parte di molti che seguivano Gesù e che, da quel momento, non andarono più con lui. È cammin facendo che si scoprono le asperità e le difficoltà della sequela, della vocazione. La parola accolta un tempo, e che sembrava dischiudere un futuro di bellezza, di senso e di gioia, diviene una parola sconcertante, incomprensibile, dura (“questa parola è dura”: Gv 6,60). Si fa allora strada la tentazione della de-vocazione, dell’abbandono, del voltarsi indietro. Siamo di fronte all’enigma dell’abbandono, della rottura di una fedeltà, alla smentita di una promessa. E l’unica lezione da trarre non è certo il giudicare, ma il sapere che nessuno è garantito. Si può perdere la fede. La logica della scelta fatta un tempo è che, per mantenersi fedeli a essa, occorre ogni giorno rinnovare il proprio sì, la propria adesione e il proprio ringraziamento per la vita accolta e poi scelta. Vi è qui una sfida posta ai cristiani: la credibilità della loro confessione di fede risiede anche nella loro capacità di declinare oggi realtà come perseveranza, fedeltà, definitività di una scelta.
Il brano evangelico presenta un momento di crisi della comunità di Gesù. Le crisi nella vita personale come nella chiesa e nella comunità cristiana sono dolorose, ma salutari perché passano al setaccio, vagliano, chiedono un adattamento a situazioni nuove, dunque sono occasione di rinnovamento. Certo, nella crisi si fa strada la tentazione dell’azzeramento del proprio passato: “Ho sbagliato tutto”, “Mi ero illuso”, “Non ce la faccio più”, “Per me è impossibile”. Queste sono le parole che ci vengono da dire in quei momenti. E allora è importante ricordare la risposta di Pietro alla provocatoria domanda di Gesù: “Volete andarvene anche voi?” (Gv 6,67). Domanda importante perché rende i credenti coscienti di che significa scegliere (e restare fedeli a una scelta). Pietro risponde, a nome dei Dodici, affermando che essi appartengono a Gesù quale Signore delle loro vite (“Signore, da chi andremo?”); confessando che da lui essi hanno ricevuto e ricevono vita (“Tu hai parole di vita eterna”); ricordando l’atto di fede fatto un tempo e l’esperienza esistenziale che ha corroborato la loro fede (“Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”).
Viene il momento per il credente in cui la fede chiede una rinascita, un affidamento radicale. Spesso sono i momenti di crisi che svolgono questa funzione di appello: allora si tratta di comprendere che “è lo Spirito che dà la vita e la carne non giova a nulla” (Gv 6,63) e di ricominciare, sempre più spogli, ad ascoltare la Parola e ad affidarsi allo Spirito del Signore.


LUCIANO MANICARDI
Comunità di Bose
Eucaristia e Parola
Testi per le celebrazioni eucaristiche - Anno B
© 2010 Vita e Pensiero
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