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Lidia Maggi Custodire la vita e la fraternità

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Una riscrittura femminile dell’Esodo
Lettera End 194 Luglio-settembre 2017

Un uomo della casa di Levi andò e prese in moglie una figlia di Levi.
Questa donna concepì, partorì un figlio e, vedendo quanto era bello, lo tenne nascosto tre mesi. Quando non poté più tenerlo nascosto, prese un canestro fatto di giunchi, lo spalmò di bitume e di pece, vi pose dentro il bambino, e lo mise nel canneto sulla riva del Fiume. La sorella del bambino se ne stava a una certa distanza, per vedere quello che gli sarebbe successo (Esodo 2,1-4)


Sulla riva del fiume, la ragazzina seguiva il viaggio della cesta, tenendosi a una certa distanza. Dentro c’era il fratellino che dormiva quieto. Quando per sua madre era giunto il tempo di partorire, in casa l’atmosfera si era fatta cupa.
Miriam non riusciva proprio a capire perché una nascita fosse attesa con tanto silenzio. Sentiva il padre e la madre parlare fitto fitto nella notte, ma non comprendeva il senso di quelle parole. Accarezzava la pancia della mamma, ormai così tonda e ci appoggiava le labbra, a volte l’orecchio, in attesa di sentire una voce.
La mamma allora mormorava triste:
“O Dio, Signore del cielo e della terra, fai che sia una bambina!”
“Mamma perché non vuoi un maschietto? Ogni donna lo vorrebbe… Mi hai raccontato di come il babbo rimase deluso quando venne a sapere che io non ero il maschio tanto desiderato…” (infatti quelli erano tempi strani dove gli uomini erano considerati molto più importanti delle donne).
La madre non rispondeva e diventava silenziosa e malinconica. La ragazzina allora intuiva che c’era qualcosa di terribile che non le veniva detto. I grandi a volte pensano di proteggere i bambini tenendoli all’oscuro su quanto accade intorno a loro.
Non sanno che invece ai bambini fa più male non avere spiegazioni, non capire cosa stia succedendo. E Miriam proprio non era in grado di comprendere la tristezza della madre. Un bambino avrebbe dovuto renderla pazza di gioia. Tutte le donne del vicinato sarebbero venute a congratularsi con lei e gli uomini avrebbero festeggiato con succo di vite fermentato cantando salmi fino all’alba.
Miriam invece vedeva la faccia triste della madre. Avrebbe voluto consolarla, ma come? Cercava di rendersi utile, di andare per lei a prendere l’acqua o la legna per il fuoco. Nulla tuttavia sembrava in grado di scacciare quelle ombre cupe.
Ma quale segreto si celava in quella tristezza sconosciuta? Miriam doveva scoprirlo.
Pensò di parlarne con la sua amica Rebecca. Sua madre faceva la levatrice, se ne intendeva dunque di pance e di neonati. Rebecca ascoltò le preoccupazioni della giovane amica e l’accompagnò da sua madre.
Sifra, la levatrice, accolse la bambina con un sorriso. L’aveva vista nascere, una bimbetta vivace fin da subito. Le offrì focacce al miele e un bicchiere di latte acido.
E ascoltò con attenzione le domande che la piccola si poneva e le parlò con fermezza. “Miriam, tutti noi siamo preoccupati per il futuro del nostro popolo, il re che ci governa ha deciso che non possiamo più vivere in pace, nella terra che accolse nostro padre Giuseppe. Il re ha reso difficile il lavoro dei nostri uomini, ha dimezzato i salari e aumentato le ore di lavoro. Ora il faraone ha chiesto a me e a Pua, l’altra levatrice, di far morire, nel parto tutti i figli maschi che le donne partoriscono”
“E tu che cosa farai?”
“Quello che ho sempre fatto: aiuterò le madri a far nascere i loro bambini. Dillo a tua madre: il suo bambino vivrà. Noi levatrici proteggeremo la vita di ogni neonato, maschio o femmina che sia”. Il re più potente della terra non ha nessun controllo nella stanza dove le donne partoriscono!
Quando il fratellino arrivò, Miriam lo osservava sospettosa.
A lei non sembrava affatto bello, così pieno di rughe da assomigliare a una tartaruga.
La mamma non era ancora serena, eppure il bambino era nato.
E perché poi aveva impedito alla ragazzina di dire a tutti di quella nascita? Perché il bambino era tenuto nascosto, consolato e preso in braccio al primo vagito? Sarebbe diventato un ragazzino viziato e insopportabile con tutte quelle coccole.
Solo dopo qualche mese la madre informò la ragazzina che il faraone, dopo aver compreso che le levatrici avevano disubbidito, aveva decretato che ogni neonato maschio fosse annegato nel fiume. Mosè lo abbiamo tenuto nascosto, ma ora è tempo di affidarlo al fiume.
“Vuoi annegare mio fratello!?” Si sorprese Miriam nel provare quel dolore così acuto al solo pensiero di perdere Tartarugotto. Si sorprese nel dire: “Io te lo impedirò”.
“Sciocca, che vai a pensare! Noi due insieme lo salveremo: lo metteremo in una cesta in modo che possa viaggiare sul fiume. Qualcuno trovandolo potrà adottarlo, ma tu, che sei così agile e veloce, seguirai il percorso fino a quando il piccolo sarà al sicuro.
Mentre madre e figlia adagiavano il piccolo nella cesta, Miriam si chiese perché Dio non interveniva per salvare suo fratello e fermare il folle piano del faraone. Ma subito pensò a come le due levatrici avevano disubbidito al re e come ora lei e sua madre stavano lavorando per preservare la vita. Sapeva che avrebbe incontrato altre donne a cui chiedere aiuto. Era solo una ragazzina Miriam quando si preparò a seguire il viaggio della cesta nel fiume, ma aveva già intuito che Dio qualche volta interviene con la forza per combattere l’ingiustizia, più spesso affida la vita e la speranza di futuro alla fragile cura di chi non si rassegna, come sua madre, le levatrici e lei stessa.
La cesta viaggiava sul fiume, la ragazzina la seguiva vigile. Passi veloci, quasi una danza, la danza della fraternità. Miriam danzava al ritmo del canto del fiume e custodiva con lo sguardo il fratello cullato dall’acqua.
Qualcuno sostiene che è così che Miriam divenne liturgista e profetessa: prendendosi cura del fratello. Se Caino aveva rifiutato la fraternità, Miriam è colei che, per la prima volta nella Bibbia, l’ha curata e custodita. Non lo hanno fatto tutti i maschi prima di lei: Esaù, Giacobbe, Giuseppe e i suoi fratelli...una sorella ha curato, con il suo gesto, quella ferita di una fraternità tradita. Si sarebbe in seguito presa cura di altri fratelli e sorelle: il popolo in viaggio verso la libertà. Il suo canto non era bisogno di evasione, intrattenimento, facile consolazione (canta che ti passa) ma esperienza di un passaggio: dall’indifferenza alla cura, dalla schiavitù alla libertà.
Sui passi di quella liberazione, operata da Dio, Miriam avrebbe guidato le donne e poi tutta la comunità a cantare la libertà. Un salmo responsoriale che trasforma un gruppo di fuggitivi in un’assemblea liturgica guidata da una donna.

Non occorre la forza, il potere per custodire la vita. Anche i più deboli, come le donne e persino le bambine, possono diventare “arca di salvezza” quando si mettono in rete. La speranza a volte è fiducia nei cambiamenti che il domani porterà, più spesso richiede l’astuzia e il coraggio di scelte anticonformiste che fanno cambiare direzione alla corrente della storia e trasformano l’agonia di morte in doglie per partorire il domani.

Pastora battista
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