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Lucia Vantini Voci della differenza sessuale

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Voci della differenza sessuale: genere, differenza, differenze
Lucia Vantini
Credere Oggi n°213 mag/giu 2016

Se la differenza sessuale fosse qualcosa di ovvio in sé, suonerebbe strana l’affermazione della filosofa e psicoanalista belga Luce Irigaray che nel 1984 la identificava addirittura come «uno dei problemi o il problema che la nostra epoca ha da pensare»[1], e sarebbe altrettanto difficile spiegare la quantità di riflessioni che da qualche decennio la mettono faticosamente a tema, innescando vivaci dibattiti, ruvidi attriti o veri e propri conflitti[2].
In questo senso, così accostate le parole del titolo tradiscono un azzardo, perché racchiudono epistemologie, visioni del mondo e pratiche anche molto distanti tra loro. Nell’orizzonte che esse dischiudono si avverte l’eco delle controversie tra femminismi, ma anche il richiamo di cruciali nodi del presente, stretti nella preoccupazione di capire che cosa apportano i pensieri delle donne nella ricomprensione dell’umano, se una felice attenzione alla dualità dei generi, oppure una disgregazione della civiltà, come qualcuno denuncia.
Occorre partire dalla constatazione che il dato della differenza sessuale si trova oggi rimosso a causa di alcuni atteggiamenti molto eterogenei tra loro: insensibilità, senso di irrilevanza o riconoscimenti distorti. Sono complici di questa erosione sia i discorsi dalla fisionomia neutra o androgina, sia quelli che, pur riconoscendo esplicitamente la differenza come patrimonio da custodire, la nominano malamente, spesso in un ordine piegato a ruoli fissi dedotti dall’identità sessuale.
A uno sguardo profondo non sfugge che quell’«abitare insieme» di uomini e donne a cui si riferiva Irigaray[3] si pone oggi come un sogno per certi aspetti irrealizzato: il mondo è ancora lacerato dalla violenza di maschi abbandonati dalle loro compagne, paralizzato da innumerevoli soffitti di cristallo che ostacolano l’opera delle donne, oscurato da diversi stereotipi di genere, impreparato a un’educazione che valorizzi la differenza sessuale senza gerarchizzarla, prigioniero di un concetto arrogante di natura, analfabeta nelle relazioni, sordo di fronte ai soggetti che patiscono il disagio dell’omofobia. Assumendosi la responsabilità politica e teorica di queste urgenze, le donne si sono coinvolte nel discorso e nelle pratiche del proprio tempo, per ripensare l’umanità in modo effettivamente inclusivo.
Rispetto a questo compito le nuove generazioni si mostrano distaccate, come se la libertà di oggi fosse piovuta dal cielo e non avesse bisogno di ulteriore lavoro. Si è inoltre fatta strada una certa mentalità colonialista nella quale il femminismo appare superato, necessario ormai solo nei contesti più arretrati. Scrive Rosi Braidotti:
Secondo l’attuale discorso dominante, «le nostre donne» (occidentali, cristiane, bianche o «sbiancate», e cresciute nella tradizione dell’illuminismo laico) sono già emancipate e pertanto non hanno bisogno di ulteriori incentivi né di politiche emancipazioniste. «Le loro donne» (non occidentali, non cristiane, in gran parte non bianche e non integrate nella società bianca, quindi estranee alla tradizione illuminista), invece, sono ancora arretrate e occorre perciò che siano destinatarie di specifiche misure sociali che ne favoriscano l’emancipazione o di forme ancora più violente di «liberazione» forzata[4].

Certo, il mondo non è omogeneo, ma resta il fatto che questa posizione è cieca: non coglie che ciò che capita ad alcuni riguarda tutti, né sospetta che nei contesti apparentemente più pacifici qualcosa ancora continui a non funzionare: non basta l’uguaglianza formale per dichiarare esaurita la questione della differenza sessuale[5].

1. Il pensiero della differenza sessuale

Il pensiero della differenza sessuale, sorto in area europea attorno al lavoro di L. Irigaray e alla creativa interpretazione elaborata dalla comunità filosofica italiana Diotima[6], parte dalla constatazione che la cultura occidentale non è stata in grado di offrire un sapere vivo della dualità dei generi, ponendo tutt’al più la questione come un argomento da studiare, analizzare e organizzare, senza mai intravederne l’originarietà:

A quei discorsi e a quelle conoscenze manca, per costituire un sapere, di rendere conto nella loro forma del fatto che la differenza sessuale affetta il soggetto stesso dei discorsi e delle conoscenze[7].

Questa sottolineatura rimarca una difficoltà metodologica troppo spesso trascurata: il soggetto che si impegna a riflettere sulla differenza sessuale non può trattarla come se gli/le fosse estranea, arrendendosi a ciò che la filosofa Wanda Tommasi chiama «tentazione del neutro»[8], che scatta soprattutto quando ci sono di mezzo la dimostrazione del vero e la decisione sul giusto[9].
In discorsi epistemologici o etici si tende a non vedere che attraverso la consistenza corporea, psicologica e simbolica del soggetto la differenza produce senso e registrarla sembra un’operazione superflua.
Sono state le donne a mettere in questione quell’inessenzialità, a partire da un senso di estraneazione provato nella presa di parola personale. La conclusione a cui sono arrivate è questa: quelle amare asimbolie, quelle interruzioni nella narrazione della propria esperienza, quelle resistenze avvertite non sono il frutto della loro naturale eccentricità, della loro ipersensibilità o della loro impermeabilità al mondo oggettivo della scienza e dell’universale politico, ma la conseguenza del sacrificio di alienazione domandato loro dalla lingua[10].
Il compito che il pensiero della differenza sessuale si prefigge è allora duplice: affrancare le manifestazioni originarie della differenza dalle sue interpretazioni androcentriche, e sperimentare mediazioni diverse per dare voce soggettuale all’esperienza femminile. Sono due facce dello stesso progetto, che è quello di permettere un senso libero della differenza sessuale.
Il gesto negativo di separare gli effetti del dominio patriarcale dalle tracce reali della differenza è necessario perché solitamente «si tende a interpretare come differenze originali anche gli effetti del dominio»[11], dividendo il mondo secondo un binarismo problematico che colloca sul versante maschile razionalità, azione, forma, cultura, spazio pubblico, mondo della produzione, e su quello femminile affettività, passività, materia, natura, spazio privato e mondo della riproduzione.
Il gesto positivo si compie, invece, nella dedizione a un ordine simbolico femminile[12], nella convinzione dell’inadeguatezza dei paradigmi simmetrici. Carla Lonzi scriveva:

La donna non è in rapporto dialettico con il mondo maschile. Le esigenze che essa viene chiarendo non implicano un’antitesi, ma un muoversi su un altro piano[13].

È un piano accessibile praticamente, attraverso l’affidamento tra donne, là dove qualcuna sembra poter offrire una sapienza promuovente per l’altra. Questo ruolo dell’affidamento è ovviamente incerto nel suo esito, perché, come tutto ciò che è pratico, si trova esposto alle fatiche della storia e alle difficoltà concrete delle relazioni reali.
In ogni caso, come recentemente la filosofa Chiara Zamboni ha rimarcato, il pensiero della differenza verrebbe inevitabilmente frainteso se sganciato dalla politica delle donne che, insoddisfatte del principio di uguaglianza[14], si implicano nello scambio in presenza[15], alla ricerca di espressioni, pratiche e azioni in fedeltà al proprio desiderio[16].
In questa prospettiva, allora, la differenza sessuale è qualcosa di complesso, non riconducibile né al piano biologico, né a quello sociale, né a quello culturale: è la perturbazione di un campo in cui sono attive tutte queste variabili. Come scrive Federica Giardini:

Né dato né teoria, la differenza tra i sessi è pensata, da Irigaray a Diotima, come un fatto simbolico che insiste su relazioni, azioni e sul linguaggio che le esprime. Questa differenza non è riducibile alle sue determinazioni biologiche, a un’attività di interpretazione che porti alla luce presenze e istanze femminili dimenticate dalla tradizione occidentale, e nemmeno a un sistema conchiuso e ripartito per principi, temi e discipline. Piuttosto è il farsi stesso del vivente in un divenire del tempo e della storia che dispone di volta in volta soggetti, agenti, questioni e le relazioni tra loro[17].

La differenza tra i sessi è, dunque, un fatto simbolico che lascia tracce nelle relazioni, nelle azioni e nel linguaggio che le narra, emergendo come evento nel quale qualcuno/a pensa, parla e agisce a partire da sé.
Quest’ultima espressione non è sinonimo di autobiografismo. Non si tratta infatti di parlare di sé, ma di esporsi personalmente in una versione del mondo prospettica e incarnata, dando conto del luogo da cui si prende la parola e limitandosi a descrivere il fenomeno che si è aperto nel contesto, senza oggettivare le esperienze e le storie.
La differenza sessuale si rivela così come una traccia indelebile del sé, che si pluralizza e si esteriorizza in una miriade di infinite altre differenze[18]. Essa appartiene a un piano originario inaccessibile, ma ben riconoscibile, narrabile e interpretabile negli effetti contestuali che produce, dando vita a pratiche di responsabilità educativa[19], etica[20], politica[21] e terapeutica[22].

2. Le teorie di genere: una chiave decostruttiva

Le teorie di genere[23] costituiscono un altro modo di significare la differenza sessuale. Esse raggiungono l’Italia negli anni Novanta presentandosi soprattutto come interpretazioni e riletture del binomio sex/gender system. Questo lemma non ha una vera e propria corrispondenza nella nostra lingua ed è a causa di questa intraducibilità che purtroppo spesso viene frainteso o sovrascritto.
Sorta per nominare la non coincidenza nell’essere umano tra il piano biologico (sex), da un lato, e quello psicologico, sociale e culturale (gender), dall’altro, l’espressione indica come il soggetto umano sorga sempre da un inevitabile intreccio di natura e cultura, per cui non ha senso né parlare dei corpi in termini banalmente materiali o come motivo di destino esistenziale, né sottovalutare il peso che la cultura esercita nel corso della storia delle persone.
Questa mancata coincidenza di sex e gender apre però uno spazio ambiguo, che può essere percepito e gestito come una semplice differenziazione teoretica tra livelli del sé, oppure come una frattura irreparabile. Non è una differenza da poco, perché dilata di molto il divario tra le prospettive sia a livello teoretico sia a livello pratico.
In chiave teoretica, si nota che nel primo caso si ha una semplice distinzione con la quale la relazione tra i termini resta forte e non superabile. La condizione carnale e la cornice di senso in cui si esprime sono riconoscibili e analizzabili singolarmente, ma non sarebbe possibile cogliere l’una senza l’altra. Nel secondo caso, invece, si dà vita a una vera e propria separazione, nella quale i termini sono liberati dal vincolo reciproco e resi autoreferenziali, tanto da disfare il sistema stesso. Ci si ritrova allora con due termini che funzionano in modo assoluto. In questa netta separazione l’equilibrio rotto pende rischiosamente da una parte: ciò che conta è il piano socio-culturale. Quello materiale non sembra altro che una parvenza rivestita di retorica.
In chiave pratica, si nota che le conseguenze di queste due declinazioni spingono il mondo in due diverse direzioni. La prospettiva ermeneutica di distinzione non si disfa dei corpi e si rivela molto utile per esaminare l’immaginario con cui vengono pensati, espressi, e normati il «maschile» e il «femminile», valutandone la consistenza di senso e la qualità morale. È in questo modo che si può cogliere l’arbitrarietà e l’ingiustizia di alcune rappresentazioni di genere che, per esempio, associano in modo essenziale al maschile elementi di razionalità, politicità, produttività e al femminile elementi di emotività, intimità, riproduttività, costringendo uomini e donne a rendere statica la percezione della loro differenza e a conformarsi obbligatoriamente ai modelli elaborati dal contesto. La prospettiva radicale della separazione, invece, riducendo il corpo sessuato a prodotto di pressioni simboliche, ritualità e pratiche sociali, ne perde la materialità. La consistenza incarnata del soggetto è nullificata dall’enfasi sul linguaggio. Per una performatività che dà vita a ciò che nomina, il linguaggio plasma ogni individuo quasi dal nulla e lo mette in condizioni di esistere solo come specchio della figura espressa. Secondo questa visione non si può uscire da tale perverso meccanismo: anche immagini alternative rispetto a quelle che una cultura considera normative sarebbero prodotte nello stesso modo.
Questa seconda lettura, però, si allontana a tal punto dal sex/gender system che forse non sarebbe nemmeno corretto considerarla una teoria di genere. Essa si presenta piuttosto nei termini di una teoria queer[24], che propone un gioco teatrale di travestimenti per rispondere a questo pervasivo meccanismo di modellamento di maschi e femmine iniziato praticamente con la nascita. Con gesti e parole sovversivi si mette in questione lo stesso binarismo sessuale e si cerca di allentare il codice dell’eterosessualità, che finisce per far sentire fuori posto nel mondo tutte le persone che non vi si riconoscono. Ciò che si vuole impedire, qui, è la categorizzazione delle persone in base al loro sesso e all’orientamento del loro desiderio. È una versione volutamente paradossale, che desta non poche perplessità a causa del credito smisurato accordato al linguaggio, a cui si accompagna una dissoluzione del dato di realtà materiale.
Le risorse della prima prospettiva, invece, sono evidenti: essa permette di criticare gli stereotipi di genere, di elaborare un’educazione che libera i soggetti da aspettative che non rispettano la loro singolarità, di mettere a fuoco come una cultura abbia significato la differenza sessuale in modo da spartire le qualità e i ruoli di uomini e donne in modo contraddittorio o comunque rigidamente complementare e di porre la questione di come generare comunità inclusive[25].
Non è sempre facile distinguere queste due traiettorie, ma è necessario farlo. Esse sono implicitamente riconosciute in Amoris laetitia, anche se manca nel testo un’analisi specifica che le renda evidenti, generando qualche difficoltà a causa della loro compresenza silenziosa. Nonostante questo, il documento presenta una forma complessa che lascia intravedere la diversa plausibilità delle prospettive. Interessante l’affermazione:

Non si deve ignorare che «sesso biologico» (sex) e ruolo sociale-culturale del sesso (gender) si possono distinguere ma non separare[26].

Questa puntualizzazione, ripresa dalla Relatio finalis della XIV Assemblea generale ordinaria del sinodo dei vescovi, corrobora la teoria di genere nella sua prospettiva ermeneutica, quella che afferma e al contempo interroga criticamente l’intreccio tra il piano naturale e quello culturale. Le parole negative sulla dissoluzione della differenza, sui progetti educativi e legislativi che vi si appoggiano e sulla tracotanza di chi vorrebbe costruire se stesso a proprio piacimento, invece, andrebbero rivolte alle versioni più radicali dei pensieri di genere. Purtroppo l’esortazione non distingue.
Con questa precisazione, l’idea di una decostruzione dell’immaginario di complementarità tra uomini e donne farebbe meno paura, e forse verrebbe intesa come una promessa e non come una minaccia per il destino dell’umano e delle sue relazioni. Da questa decostruzione, infatti, dipende il futuro ecclesiale di quel nuovo umanesimo integrale e inclusivo che aspira a riconoscere e a proteggere le vulnerabilità di tutti. Esso infatti continuerà ad apparire privo di forza politica e di fatto implausibile in ogni contesto pubblico, finché l’etica della cura su cui si basa si troverà associata esclusivamente a un soggetto femminile che si esaurisce nella sfera familiare.
Come le riflessioni di Carol Gilligan e di Joan Tronto[27] consentono di avvertire, ogni riferimento alla misericordia patisce un inevitabile depotenziamento a causa dei modelli che mettono uomini e donne di fronte gli uni alle altre, spartendo tra loro le diverse qualità morali e civili in modo tale che il sentire compassionevole resti pratica femminile e privata[28], senza poter mai divenire categoria trasformativa dei contesti.

3. Dietro le parole, i mondi: per un uso contaminato delle categorie

Il pensiero della differenza sessuale e le teorie di genere hanno dunque radici molto diverse sia dal punto di vista storico, sia dal punto di vista metodologico e pratico. Per questo, il confronto tra coloro che si collocano da una parte o dall’altra non è mai stato facile.
Le critiche mosse al pensiero della differenza, soprattutto dal femminismo statunitense[29], sono sostanzialmente tre: è essenzialista perché esprime una differenza astorica e deterministica senza lasciare spazio alle trasformazioni sociali, è universalistico perché non riesce a registrare le differenze tra donne, facendosi etnocentrico, è rigidamente piegato su paradigmi eterosessuali. Come fa notare Rosi Braidotti[30], si tratta di un sostanziale fraintendimento, dovuto probabilmente alla distanza dai contesti politici nei quali questo pensiero ha preso forma, alla mancanza di familiarità con la filosofia continentale, alla forte mediazione di Gayle Rubin[31] e all’impossibilità culturale di associare il corpo al discorso critico e al discorso pubblico, se non per questioni di diritti.
Il pensiero della differenza, invece, avversa le teorie di genere per la loro insensibilità alla materialità dei corpi, una materialità trascendentale che si fa luogo di relazioni e di memoria. I corpi, infatti, non sono solo superfici significate e normate dall’esterno, ma hanno potenzialità simbolica: è nella carne che si prende la parola e si scambiano le esperienze. Nel «genere» il pensiero della differenza intravede, invece, uno sbilanciamento problematico sul linguaggio, che impedirebbe di dar conto delle potenzialità trasformative dei contesti concreti e pratici in cui le donne hanno provato a raccontare il mondo collocandosi in un’altra genealogia, sottraendosi ai codici androcentrici e dislocandosi dalla posizione frontale di reciprocità e di complementarità in cui l’ordine simbolico le aveva confinate. Anche qui, la critica va condizionata: certamente questi rischi sono reali, ma nel mantenimento dell’intreccio sex/gender si trova un argine a tale deriva.
C’è dunque attualmente una forte opposizione tra queste due prospettive, sorta da differenze reali e non da mere questioni terminologiche. Cambia effettivamente il modo di intendere i rapporti tra mondo maschile e mondo femminile: per il pensiero della differenza c’è un’indiscutibile asimmetria, dal momento che uomini e donne non vivono gli stessi itinerari di soggettivazione, di formazione del pensiero e di elaborazione dell’esperienza, mentre le teorie di genere lavorano nella convinzione che i modelli del maschile e del femminile si costruiscono reciprocamente. La dimensione incarnata, inoltre, è nel pensiero della differenza decisamente dinamica e interattiva, con una forte incidenza della sessualità e segnata da una materialità aperta ad altro che richiama la relazione con la madre, mentre risulta più passiva, sempre esposta alle pressioni simboliche e meno segnata dalla sessualità nei pensieri di genere. Questo divario dipende certamente dalla diversa concezione del linguaggio, luogo di negoziazione per la differenza, potenza performativa per il genere. Da qui discende il rapporto contrapposto che le due prospettive intrattengono con la psicoanalisi: il pensiero della differenza dà molta considerazione all’inconscio, perché consente al soggetto di aprirsi a passaggi imprevisti che lo riconnettono alla propria maschilità o femminilità e al rapporto originario con il rimosso materno di questa cultura, mentre le teorie di genere, chiuse in una concezione dell’identità costruita dai processi linguistici performativi, non danno conto dei processi più profondi e riprendono la psicoanalisi solo per ciò che serve all’io narrante. Queste diverse interpretazioni del soggetto e del suo modo di stare al mondo conducono inevitabilmente a una diversa strategia critica: c’è da perseguire un ordine simbolico materno per il pensiero della differenza, mentre per le teorie di genere si tratta di decostruire i codici[32].
Impossibile stare irenicamente al centro tra questi paradigmi della differenza. Non pare convincente, però, il giudizio di una loro assoluta incompatibilità. Si deve invece pensare a un loro intreccio fecondo, che può essere realizzato solo se si tiene presente che il pensiero della differenza non è essenzialista, in quanto lavora con una materialità che genera simboli, e che le teorie di genere non sono di per sé costruttiviste, in quanto mantengono quasi sempre un radicamento nel sex. Potrebbe sembrare un compromesso con cui sottrarsi a coraggiose scelte epistemologiche e tutelarsi dalla fatica di abitare la parzialità prospettica. Non è così. Anzi, forse è proprio un aspetto di fedeltà a questa parzialità a impedire una presa di posizione radicale. Si dischiude allora una configurazione complessa del discorso, nel quale una pluralità di ermeneutiche conduce a mettere a fuoco vari livelli del reale. In questo registro complesso le due forme di interrogazione analizzate stanno su piani diversi: il pensiero della differenza gioca un ruolo creativo e originale, che si espone a una lettura del mondo inedita e coraggiosa, radicata in quella genealogia materna che da sempre costituisce il rimosso della storia. Ai pensieri di genere, invece, va affidato un compito sostanzialmente decostruttivo: essi devono valutare ciò che emerge in nome della differenza stessa, mettere alla prova le rappresentazioni del maschile e del femminile sviluppate dalla cultura e dalla società, e fare attenzione a come noi, uomini e donne, siamo nominati nei contesti che abitiamo.
Il pensiero della differenza, che sorge da un arrischiato gesto simbolico di «schivata»[33] rispetto al già detto e al già pensato, cerca di aprire spazi in cui far circolare un senso libero della propria identità sessuale. Vale dunque la pena di seguirlo nella scommessa di impostare le questioni a partire da un’inaggirabile asimmetria tra i generi, perché non si può prendere la parola in modo autentico senza fare i conti con il rimosso della storia[34] né chiudere gli occhi sul fatto che i percorsi di soggettivazione di uomini e donne sono originariamente differenti: per gli uomini si tratta di situarsi in una trama che li ha previsti ma vietando loro la nominazione della parzialità, per le donne si tratta di fare l’esperienza di un’estraneità che subdolamente sembra invitarle a scegliere tra un atteggiamento mimetico e assimilativo, e un atteggiamento di afasia e di confine nel regno dell’immediatezza. Vale la pena di seguirlo anche per il grande valore accordato all’esperienza[35] e ai luoghi della sua rimozione, perché non può essere che tutto accada nel linguaggio e nei codici espressivi di una cultura.
Non mi pare, tuttavia, che l’assunzione del pensiero della differenza scoraggi un impiego critico della categoria di genere, là dove questa risulta utile a rivelare il potere nascosto nelle parole, là dove ricorda che il maschile e il femminile tendono a essere costruiti contemporaneamente, là dove aiuta a smascherare e a dissolvere gli stereotipi che confinano il soggetto in un destino non scelto. Per rispondere all’appello del pensiero della differenza secondo il quale «è necessario domandarsi come il politico costruisca la nozione di differenza dei sessi e come la differenza dei sessi costruisca il politico»[36], anzi, la categoria di genere declinata in una forma che non dissolve i corpi pare decisamente utile.
Il compito riguarda tutti, per cui domanda una presenza sempre più coinvolta e responsabile degli uomini, chiamati a dissotterrare quei tratti della maschilità che il tempo ha rimosso e nascosto nell’universale, e a incamminarsi personalmente, nei contesti in cui prendono la parola e agiscono, per quel percorso di posizionamento singolare già intrapreso dalle donne.

Nota bibliografica

Senza avere la pretesa di indicare tutti i libri importanti per entrare nella problematica trattata, oltre a quanto segnalato nelle note, segnaliamo un bibliografia minima utile per un riferimento di qualità. S. Bellassai, La mascolinità contemporanea, Carocci, Roma 2004; C. Caltagirone - C. Militello (edd.), L’identità di genere. Pensare la differenza tra scienze filosofia e teologia, EDB, Bologna 2015; S. Ciccone, Essere maschi. Tra potere e libertà, Rosenberg&Sellier, Torino 2009; Coordinamento teologhe italiane, Teologia e prospettive di genere, in P. Ciardella - A. Montan (edd.), Le scienze teologiche in Italia a cinquant’anni dal Concilio Vaticano II, LDC, Leumann (TO) 2011; P.D. Guenzi, Sesso/genere. Oltre l’alternativa, Cittadella, Assisi 2011; S. Noceti, Di genere in genere. Storia di un concetto, in «Vivens Homo» 18 (2/2007) 293-305; M. Perroni (ed.), Non contristate lo spirito. Prospettive di genere e teologia: qualcosa è cambiato?, Gabrielli Editori, San Pietro in Cariano (VR) 2007; C. Simonelli, Dire la differenza senza ideologie, in «Il Regno- Attualità» 1 (2015) 53-65; C. Simonelli - M. Ferrari (edd.), Una chiesa di donne e uomini, Edizioni Camaldoli, Camaldoli (AR) 2015; R. Torti, Mamma perché Dio è maschio? Educazione e differenza di genere, Effatà, Cantalupa (TO) 2013; A. Valerio, Donne e chiesa. Una storia di genere, Carocci, Roma 2016; L. Vantini, Genere, EMP, Padova 2015.

[1] L. Irigaray, Etica della differenza sessuale, Feltrinelli, Milano 1985, 11.

[2] C. Zamboni, La passione della differenza sessuale, in http://www.donnealtri.it/2015/12/la-passione-della-differenza-sessuale/ (10.6.2016).

[3] Diotima, Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 2003, 37.

[4] R. Braidotti, Trasposizioni. Sull’etica nomade, Luca Sossella, Bologna 2008, 58.

[5] Cf. Diotima, Oltre l’uguaglianza. Le radici femminili dell’autorità, Liguori, Napoli 1995; C. Simonelli, Le parole per dirci, in «L’Unione» 20 (aprile 2014) 7-9; L. Vantini, Incarnare l’uguaglianza. Sentieri femminili, in «Munera» 2/2016.

[6] Cf. Diotima, Il pensiero della differenza sessuale; L. Irigaray, Speculum. L’altra donna, Feltrinelli, Milano 2010.

[7] Diotima, Il pensiero della differenza sessuale, 9.

[8] W. Tommasi, La tentazione del neutro, in Diotima, Il pensiero della differenza sessuale, 83-103.

[9] Cf. Diotima, Il pensiero della differenza sessuale, 17.

[10] A. Cavarero, Per una teoria della differenza sessuale, in Diotima, Il pensiero della differenza sessuale, 43-79.

[11] Diotima, Il pensiero della differenza sessuale, 20.

[12] L. Muraro, L’ordine simbolico della madre, Editori Riuniti, Roma 2006.

[13] C. Lonzi, Sputiamo su Hegel, Ed. Rivolta femminile, Milano 1974, 32.

[14] Cf. Libreria delle donne di Milano, Non credere di avere dei diritti. La generazione della libertà femminile nell'idea e nelle vicende di un gruppo di donne, Rosenberg & Sellier, Milano 1987. Il principio di uguaglianza, scrive Adriana Cavarero, concede alle donne uno spazio sostanzialmente immodificabile per cui si rivela «estremamente rivoluzionario per quanto riguarda gli uomini», ma «radicalmente conservatore per quanto riguarda le donne» (A. Cavarero, Il pensiero femminista. Un approccio teoretico, in A. Cavarero - F. Restaino, Le filosofie femministe, Bruno Mondadori, Milano 2002, 86).

[15] C. Zamboni, Pensare in presenza. Conversazioni, luoghi, improvvisazioni, Liguori, Napoli 2009.

[16] Zamboni, La passione della differenza sessuale.
[17] F. Giardini, Relazioni: differenza sessuale e fenomenologia, Luca Sossella, Roma 2004, 11.

[18] F. Giardini, Identità/differenza, in «Paradigmi» [59] (2002) 303-318.

[19] A.M. Piussi (ed.), Educare nella differenza, Rosenberg & Sellier, Milano 1989; Ead., Due sessi, un mondo. Educazione e pedagogia alla luce della differenza sessuale, QuiEdit, Verona 2008.

[20] Cf. A Buttarelli, La passività, Bruno Mondadori, Milano 2006; W. Tommasi, La scrittura del deserto. Malinconia e creatività femminile, Liguori, Napoli 2004.

[21] Diotima, Potere e politica non sono la stessa cosa, Liguori, Napoli 2009.

[22] Tommasi, La scrittura del deserto; Ead., Ciò che non dipende da me. Vulnerabilità e desiderio nel soggetto contemporaneo, Liguori, Napoli 2015.

[23] Per la ricostruzione storica e bibliografica delle teorie di genere rimando, in questo fascicolo, al contributo di S. Noceti, L’antropologia incompiuta (pp. 27-40) e di R. Torti, Invito alla lettura (pp. 159-167).

[24] Queer è un termine dal significato originariamente spregiativo verso gay e lesbiche, che viene provocatoriamente assunto da alcune autrici, come Teresa de Lauretis e Judith Butler, come riferimento teorico per una visione pragmatica e costruttivista del genere: cf. T. De Lauretis, Soggetti eccentrici, Feltrinelli, Milano 1999; J. Butler, Scambi di genere. Identità, sesso e desiderio, RCS Libri, Milano 2004; Ead., La disfatta del genere, Meltemi, Roma 2006.

[25] È sostanzialmente questa la prospettiva di impiego della categoria da parte del Coordinamento delle teologhe italiane (www.teologhe.org).

[26] Francesco, Esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitia (19 marzo 2016), n. 56, in «Il Regno-Documenti» 5 (2016) 141.

[27] C. Gilligan, La virtù della resistenza: resistere, prendersi cura, non cedere, Moretti & Vitali, Bergamo 2014, 156; cf. anche J. Tronto, I confini morali. Un argomento politico per l’etica della cura, Diabasis, Reggio Emilia 2006.

[28] S. Morra, Dio non si stanca. La misericordia come forma ecclesiale, EDB, Bologna 2015.

[29] Negli Stati Uniti il pensiero della differenza si trova attualmente relegato ai margini o soppiantato dalle teorie di genere.

[30] R. Braidotti, In metamorfosi. Verso una teoria materialista del divenire, Feltrinelli, Milano 2003.

[31] G. Rubin, The Traffic in Women: Notes on the «Political Economy» of Sex, in L.J. Nicholson (ed.), The Second Wave: a Reader in Feminist Theory, Routledge, New York 1997, 27-62.

[32] Cf. Zamboni, La passione della differenza; Braidotti, In metamorfosi.

[33] L. Muraro, La schivata: una introduzione a Iris Murdoch filosofa, in «Etica e politica/Ethics &Politics» XVI (1/2014) 410-425.

[34] M. Perroni - C. Simonelli, Maria di Magdala. Una genealogia apostolica, Aracne, Roma 2016.

[35] A. Buttarelli - F. Giardini, Il pensiero dell’esperienza, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2008.

[36] Diotima, Il pensiero della differenza sessuale, 31.
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