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Enzo Bianchi: Il genio non ha genere

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Jesus – Rubrica La bisaccia del mendicante – Maggio 2016
di ENZO BIANCHI
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Una delle fatiche più grandi che attraversano il tessuto ecclesiale riguarda l’impegno e riconoscere la presenza delle donne nella chiesa. Giovanni XXIII indicò tra i “segni dei tempi” la promozione della donna nella società del XX secolo, e il concilio indirizzò alle donne uno dei messaggi conclusivi, usando accenti che suonavano inediti alle orecchie dei cattolici: si affermava che la chiesa era “fiera d’aver esaltato e liberato la donna e di aver fatto risplendere … la sua uguaglianza fondamentale con l’uomo”.
Ma il testo proseguiva assegnando alle donne come dote “la cura del focolare, la custodia della vita, il senso delle culle, la presenza al mistero della vita che comincia”. Tuttavia il messaggio si concludeva con un mandato solenne: “Donne di tutto il mondo spetta a voi salvare la pace nel mondo” (Messaggio della Chiesa alle donne, 8 dicembre 1965).

Così i cantieri erano aperti. Ma la peculiarità dell’essere femminile risultava ristretta alla sponsalità e alla maternità e, se riconosceva che “l’ora è venuta in cui la donna acquista nella società un’influenza, uno sviluppo, un potere finora mai raggiunti” (idem), tuttavia si restava balbettanti sul ruolo della donna nella chiesa. Venne poi Giovanni Paolo II che affermò l’urgente necessità di passare “dal riconoscimento teorico della presenza attiva e responsabile della donna nella Chiesa alla realizzazione pratica” (Christifideles laici 51) e chiese perdono per gli abusi perpetrati ai danni delle donne (cf. Mulieris dignitatem e Liturgia del perdono del 10 marzo 2000). A più riprese lo stesso papa invitò a “riflettere sul ruolo della donna”, per darle più spazio nella società e nella chiesa e questa insistenza non fu vana perché molte donne si impegnarono nelle ricerche teologiche e antropologiche, giungendo a esprimere risultati di assoluto rilievo. Peraltro Giovanni Paolo II, ispirato dal teologo von Balthasar da lui ammirato, si addentrò sulla strada della “invenzione” della dimensione petrina e mariana della chiesa, esaltando questa come antecedente a quella, sicché si poteva dire, con l’intenzione di esaltare la donna, che Maria è più importante degli apostoli. Anche papa Francesco ha fatto più volte ricorso a questa affermazione, per sottolineare come il ruolo di Maria, la madre di Gesù, sia stato all’origine dell’incarnazione da cui procede la sequela di Gesù da parte dei discepoli divenuti poi apostoli. Dobbiamo però riconoscere che molte donne cristiane non amano molto questi paragoni tra realtà diverse e tutte necessarie e sentono sovente alcune affermazioni come proiezioni romantiche sulla donna.

Sarebbe tempo di ascoltare le donne più che di parlare di loro, esercizio che per noi uomini risulta difficile. Nel linguaggio stesso sembra di essere ancora all’età della pietra: anch’io vengo giudicato misogino e probabilmente con ragione in riferimento ai termini che uso… Tuttavia sarà solo nominandoci e ascoltandoci reciprocamente, uomini e donne, dialogando e confrontandoci che potremo giungere almeno a un’etica del linguaggio adeguata.

Ecco allora alcune domande: che senso ha chiedere di scoprire il genio femminile? E di fronte ad esso non ce ne sarebbe uno maschile? Sia gli uomini che le donne possono essere geniali ed esprimere una differenza a volte complementare che arricchisce entrambi. Salvo il ministero ordinato nella chiesa cattolica riservato agli uomini, per tutto il resto uomini e donne devono veder riconosciuta la stessa soggettività e la stessa capacità di presenza attiva nella chiesa. A volte, credendo di esaltare le donne, si finisce per chiuderle in schemi prefabbricati che le umiliano e le imprigionano di nuovo. Una capacità tipicamente femminile non deve finire per dare l’identità a una donna. Recentemente, un articolo che voleva essere esaltazione del “genio femminile” arrivò a dire che “il sabato santo è il giorno più femminile dell’anno perché è il giorno dell’attesa… Il sabato santo è il giorno delle donne”. Ma come si fa a sostenere simili affermazioni, dicendo che l’attesa e il silenzio sono propri delle donne mentre gli uomini non sono capaci di vivere il sabato santo perché cercano sempre soluzioni ai problemi? E il primo giorno dopo il sabato non è forse anch’esso femminile, visto che sono le donne a recepire e proclamare per prime la fede nella risurrezione di Gesù? E il giorno antecedente la passione, non è forse anch’esso segnato da un gesto femminile, l’unzione profetica di Gesù a Betania? E il venerdì santo, quando i discepoli fuggono tutti e restano nascosti mentre solo le donne accompagnano Gesù fino alla sepoltura? Perché mai allora il sabato santo sarebbe “donna”, quando le donne quel giorno fecero shabbat come gli uomini, senza fare nulla per osservanza della legge? Le donne non hanno nessuna “specialità” riservata nel vangelo: come gli uomini, insieme a loro sono chiamate alla stessa sequela, alla stessa beatitudine dell’ascolto, con la stessa disponibilità rinnegare se stessi, abbracciare la croce e portarla.
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